Dicono in molti che in italiano il congiuntivo sta
sparendo. Anche se così fosse, non dovremmo strapparci le vesti, perché ci sono
lingue che senza il congiuntivo funzionano benissimo (vedi l’inglese). Ad ogni
modo, ricerche assai documentate provano che il congiuntivo in italiano non sta
affatto uscendo di scena. Certamente è in crisi nel registro informale-colloquiale.
Lo si usa sempre di meno. Al suo posto troviamo l’indicativo. Soprattutto nelle
proposizioni oggettive rette da verbi come «credere», «pensare», «ritenere»,
«sembrare» («credo che tu hai ragione» invece di «che tu abbia ragione»), nelle
interrogative indirette come «non so se tu sei tornato a casa» invece di «non
so se tu sia tornato a casa», e nel periodo ipotetico dell’irrealtà («se me lo
dicevi, non ti sgridavo» invece di «se me lo avessi detto, non ti avrei
sgridato»). Comunque stiano le cose, di sicuro l’indicativo è inadatto ad
esprimere dubbi o desideri.
L’indicativo è il modo della certezza,
dell’obiettività, il congiuntivo è il modo della soggettività: presenta i fatti
come noi li desideriamo, li temiamo, li speriamo. È obbligatorio nelle
esortazioni o inviti o comandi («nessuno parli! »), in una interrogazione
dubbiosa («Che sia proprio lui? »), in una esclamazione («Sapessi che bello!
»), è raccomandabile coi verbi che esprimono punti di vista, opinioni, giudizi,
e volontà personali, stati d’animo, un’incertezza, o dubbio, timore, volontà,
possibilità ecc. Torno a dire che frasi come «Penso che è lui», «Credo che tu
hai torto», «Mi dispiace che Rodotà non ce l’ha fatta», «Spero che non fai come
l’altra volta», «Voglio che me lo dici di persona» si possono benissimo usare
in situazioni informali, chiacchierando; e sappiamo tutti che «non so se viene»
è più colloquiale rispetto a «non so se venga». Ma quando scrivo, è certamente
meglio non abbandonare il congiuntivo. Non vedo perché dobbiamo rinunciare alle
molte finezze, alle innumerevoli sfumature che il congiuntivo ci offre. Esiste
una differenza notevole tra «capisco che Giovanna è felice» e «capisco che
Giovanna sia felice»: nel primo esempio si tratta di una constatazione
evidente, nel secondo significa che mi rendo conto delle ragioni della felicità
di Giovanna; esiste una notevole differenza tra «dicono che le elezioni sono in
autunno» e «dicono che le elezioni siano in autunno»: nel primo caso si dà la
cosa come sicura, nel secondo caso si dubita della notizia, non si è del tutto
convinti che sia vera.
La scelta tra indicativo/congiuntivo non è affatto
una scelta tra un modo più o meno elevato e raffinato. L’importante per chi
parla o scrive è poter scegliere in base alle diverse situazioni comunicative.
E per poter scegliere tra congiuntivo e indicativo occorre conoscerli entrambi,
perché spesso chi non usa il congiuntivo non è che scelga l’indicativo, ma è
l’indicativo che costringe il parlante a sceglierlo.
Se dunque l’indicativo indica certezza, e il
congiuntivo ci dà invece la possibilità di esprimere meglio un nostro giudizio,
una nostra ipotesi, un nostro dubbio, un nostro pensiero, non si vede perché si
debba rinunciare al congiuntivo, dal momento che significa rinunciare a un
mezzo che coglie intense sfumature. Non usarlo significa (forse) semplificare,
ma certamente significa dire di meno.
Gian Luigi
Beccaria
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