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La scrittura è uno strumento di conoscenza.
Fa luce dentro di te e rende chiaro qualcosa che prima era oscuro.

martedì 30 settembre 2014

CECITÀ



Ecco come sono le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano fra loro, sembra non sappiano dove vogliono andare, e all’improvviso, per via di due o tre, o di quattro che all’improvviso escono, parole semplici, un pronome personale, un avverbio, un verbo ,un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la commozione che sale irresistibile alla superficie della pelle e degli occhi, che incrina la compostezza dei sentimenti, a volte sono i nervi a non riuscire a reggere, sopportano molto, sopportano tutto, come se indossassero un’armatura, si dice.
La moglie del medico ha i nervi d’acciaio e poi, in definitiva, la moglie del medico si scioglie in lacrime per via di un pronome personale, di un avverbio, di un verbo, di un aggettivo, mere categorie grammaticali, mere designazioni, come del pari sono le restanti altre due donne, le altre, pronomi indefiniti , anch’esse piangenti, che abbracciano quella della frase completa, tre grazie nude sotto la pioggia. Sono momenti che possono durare in eterno, è più di un’ ora che queste donne sono qui, è tempo che sentano freddo. Ho freddo, ha già detto la ragazza dagli occhiali scuri.

Cecità - José Saramago

lunedì 29 settembre 2014

IL MIO NOME


Il mio nome non è mio,
è preso in prestito dai miei antenati.
Devo darlo indietro immacolato.
Il mio onore non è mio.
è preso in prestito dai miei discendenti,
deve essere dato loro intatto.
Il nostro sangue non è nostro.
è un dono per le generazioni non ancora nate.
Dove essere portato con responsabilità.

Vincent Elund

lunedì 22 settembre 2014

E MI CERCO


E MI CERCO

E mi cerco
nei labirinti del silenzio
oltre confini mai esplorati
tra i sentieri vergini
dell' anima mia
ora che sono smarrita.

Mi cerco
con passo incalzante
e voce rotta.
E l'anima sussulta
a rivelarsi
così nuda.
E s'imbelletta
coi colori caldi
dell'autunno giunto.

Ti mascheri a me
Anima mia
per consolarmi?

Ti vestirò
dei vagiti dell'alba
dei sospiri del tramonto
dei cinguettii del firmamento.

Catturerò raggi di sole
intreccerò sandali
e valicheremo
pietraie e macerie.


dalla raccolta - Dammi un cuore che ascolti -
diritti riservati



V CLASSIFICATA AL 2° EVENTO LETTERARIO SCRIVIAMO
Con il Patrocinio
del Comune di Alatri.
Assessorato alla Cultura
e Provincia di Frosinone







giovedì 18 settembre 2014

IL MIRACOLO DI SAN GENNARO




Disperati, tutti, fissavano l’altar maggiore dove ardevano i cerei e si riflettevano sulla metallica faccia del Santo.
- San Gennaro, san Gennaro, - urlava la gente, a ogni Credo che finiva.
E lo sgomento che il miracolo non accadesse soffiava su quelle teste, scoppiava in quelle voci. Le parenti di san Gennaro erano convulse di dolore e di collera; si era giunti al trentacinquesimo Credo, l’ora passava, con una lentezza di minaccia: ed esse, sentendosi nel medesimo tempo offese dal ritardo del loro santo antenato, e disperate della sua collera, lo interpellavano così:
- San Gennaro, faccia d’oro, non ci fare aspettare più!
- Sei in collera, eh? Che ti abbiamo fatto?
- Vecchio rabbioso, fa’ il miracolo al popolo tuo!
Ed era inesprimibile il sentimento d’ira, di tenerezza, di devozione, di agitazione, che spirava in queste ingiurie, in queste pietose invocazioni. Dice la leggenda che san Gennaro ama molto farsi pregare e non si sdegna delle parole che le sue parenti e il popolo gli dirigono, e l’emozione del popolo era tanta che, al trentottesimo Credo, i versetti della preghiera furono detti disperatamente, come se ogni parola fosse strappata da uno strazio supremo e in fondo scoppiarono le grida:
- Faccia verde!
- Faccia gialluta!
- Santo malamente!
- Fa’ il miracolo, fa’ il miracolo.
Il trentottesimo Credo fu clamore: lo dicevano tutti, da un capo all’altro della chiesa, il cardinale, i preti, le vecchie parenti, uomini, donne bimbi, tutti, tutti, presi da un grande furore mistico. E a un tratto, nella pausa di immenso silenzio che susseguì alla preghiera, l’arcivescovo si voltò al popolo: la faccia del sacerdote, irradiata di una luce quasi divina, pareva trasfigurata: e la bianca mano, levata in alto mostrava al popolo l’ampollina: il Prezioso Sangue, nel sottilissimo involucro di cristallo, bolliva. Quale urlo! Ne parvero scosse le fondamenta dell’antica chiesa; ebbe echi così forti e lunghi, che sgomentarono i viandanti delle strade circonvicine; e parve che le sonore campane del campanile vibrassero sole; e il gran pianto, il gran singhiozzo di tutto il popolo inginocchiato, buttato a terra, singultante con la bocca sul freddo marmo, levante le braccia, dibattendosi sotto la grande visione del Sangue che bolliva, non ebbe termine.
Come morte, giacevano prostrate sull’altar maggiore le vecchie parenti; una sola possente forza aveva piegato tutta la folla; era tutto un lamento, tutto un sussulto tutta una preghiera; ognuno in quel minuto lunghissimo diceva ad alta voce, fra le lacrime calde e il tremor della voce, la sua parola di dolore. Sull’altar maggiore l’arcivescovo e il clero, tutti in piedi, a voce spiegata, superante la gran voce dell’organo, cantavano il Te Deum.

mercoledì 17 settembre 2014

IL BAGNO È NAPOLETANO



La doccia è milanese, perchè ci si lava meglio, consuma meno acqua e fa perdere meno tempo.
Il bagno è napoletano:un incontro con i pensieri.

                                                                                           dal film " Così parlò Bellavista"

lunedì 15 settembre 2014

IL DIALETTO È LA LINGUA DEGLI AFFETTI - A. CAMILLERI -



Il dialetto è sempre la lingua degli affetti, un fatto confidenziale, intimo, familiare. Come diceva Pirandello, la parola del dialetto è la cosa stessa, perché il dialetto di una cosa esprime il sentimento, mentre la lingua di quella stessa cosa esprime il concetto. A me con il dialetto, con la lingua del cuore, che non è soltanto del cuore ma qualcosa di ancora più complesso, succede una cosa appassionante. Lo dico da persona che scrive. Mi capita di usare parole dialettali che esprimono compiutamente, rotondamente, come un sasso, quello che io volevo dire, e non trovo l’equivalente nella lingua italiana. Non è solo una questione di cuore, è anche di testa. Testa e cuore.
Andrea Camilleri