L’Unesco
riconosce il napoletano come lingua, e non dialetto, seconda solo all’italiano per
diffusione tra quelle parlate nella penisola. Sicuramente si tratta dell’idioma
italico più esportato e conosciuto grazie alla canzone classica partenopea, una
delle maggiori espressioni artistiche della cultura occidentale che da più di
un secolo diffonde in tutto il mondo la bellezza della parlata napoletana. Una
lingua romanza che, nelle sue variazioni, si parla correntemente nell’alto
casertano, nel sannio, in irpinia, nel cilento, e nelle zone più vicine di
Lazio, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Molise e Puglia, ovvero tutti quei
territori che nelle antiche Due Sicilie costituivano il Regno al di qua del
faro di Messina laddove la lingua nazionale era appunto il Napolitano, mentre
il Siciliano era la lingua nazionale del Regno al di la del faro (Sicilia).
Nonostante
la meritoria e imponente opera dei grandi scrittori e compositori di musica
napoletana classica, dal 1860 in poi, con la perdita d’identità del popolo
meridionale, il Napoletano è però purtroppo andato sempre più degradando e oggi
si sta trasformando volgarmente per molteplici cause. Prima fra tutte la
mancata valorizzazione e il negato insegnamento che stanno mistificando la
grammatica e la pronuncia di questa meravigliosa lingua riconosciuta
dall’Unesco ma non dallo stato italiano. Di qui, dunque, l’aggressione delle
contaminazioni moderne fatte di un volgare slang giovanile e di vocaboli
stravolti nel significato. Ad esempio, un vocabolo come “vrénzola”, ossia “cosa
da poco (sta ascénno ‘na vrenzola ‘e sole), è stato tristemente trasformato in
indicazione di donna volgare.
Iniziative
a tutela provano a metterle in piedi timidamente le istituzioni locali e nella
seduta del 14 Ottobre 2008, il Consiglio Regionale della Regione Campania
approvò un disegno di legge d’iniziativa provinciale sotto titolo “Tutela e
valorizzazione della lingua napoletana”. La risoluzione attende però di trovare
il suo seguito con adatte soluzioni strutturali che permettano ai più giovani
di imparare grammatica, ortografia e dizione corrette.
Provate
a chiedere a un napoletano, per esempio, la differenza tra apostrofo e aferesi,
elementi cardini della scrittura partenopea.
Probabilmente
resterà muto al sentire la seconda, ovvero quel segno diacritico che deve
precedere un articolo determinativo. E qui si presenta il più frequente degli
errori di scrittura oggi ravvisabili sulle insegne e sui manifesti pubblicitari
in napoletano: l’articolo “il”, che si traduce in “lo” per poi divenire tronco
ponendovi l’aferesi, appunto, che ne cancella la consonante iniziale, viene frequentemente
scritto o’, con l’apostrofo dopo la o che segnala un’elisione inesistente,
mentre andrebbe scritto ‘o, con l’aferesi che invece cancella la consonante
iniziale e la sua pronuncia nella parola.
È un piccolo ma significativo esempio a cui a cascata ne potrebbero seguire tantissimi. E allora, per dare un senso didattico a questo scritto, prendo a spunto un’insegna (vedi foto), come tante se ne vedono al centro di Napoli, che è l’esatta fotografia di questa perdita di patrimonio linguistico.
È un piccolo ma significativo esempio a cui a cascata ne potrebbero seguire tantissimi. E allora, per dare un senso didattico a questo scritto, prendo a spunto un’insegna (vedi foto), come tante se ne vedono al centro di Napoli, che è l’esatta fotografia di questa perdita di patrimonio linguistico.
Vi
si legge “A’ TAVERNA DO’ RÈ”, e chi conosce e ama la lingua di Partenope non
può non trasalire. Sei errori sei in una sola stringata frase! Va detto subito
che la forma grammaticale napoletana corretta è: ‘A TABERNA D’ ‘O RRE. E
vediamo perché.
Come
detto, l’articolo determinativo “la” diventa tronco e vi si pone l’aferesi che
cancella la consonante iniziale, non l’apostrofo dopo la a. La parola “Taverna”
in Napoletano è più correttamente tradotta in “Taberna”, vocabolo derivante
dalla lingua spagnola; ma questa è poca cosa di fronte alla preposizione
articolata “del” che in napoletano diventa “d’ ‘o”, ovvero “de lo” in cui si
pone l’apostrofo dopo la d che sancisce l’elisione della o e la dizione tronca,
nonchè l’aferesi prima della o (vale il discorso dell’articolo “la”). Infine,
in molti casi, l’articolo determinativo singolare maschile fa raddoppiare la
consonante della parola che segue per indicarne e sottolinearne la dizione
corretta, come nel caso di “il Re” che diventa ‘o Rre e non ‘o Ré con una sola erre
e con l’improprio accento sulla e.
Insomma, un’insegna che non insegna ma
disorienta e che fa tristezza pensando a quanto valga la nostra lingua e cosa
significhi per la nostra cultura identitaria, che non è seconda a nessuno nel
mondo.
Ai meno superficiali non resta che andare in libreria e dotarsi di testi di grammatica napoletana o spulciare in internet dove è possibile recuperare piccoli ma utilissimi saggi. Si salvi chi vuole, dunque, e trasferisca poi ai propri figli.
Ai meno superficiali non resta che andare in libreria e dotarsi di testi di grammatica napoletana o spulciare in internet dove è possibile recuperare piccoli ma utilissimi saggi. Si salvi chi vuole, dunque, e trasferisca poi ai propri figli.
di Angelo Forgione
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