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La scrittura è uno strumento di conoscenza.
Fa luce dentro di te e rende chiaro qualcosa che prima era oscuro.

giovedì 26 giugno 2014

DISTESA SULLA LUCE DELL'ALBA - I -








I
Ancora questa notte
ti sei consumata d’amore
Luna
nel
Sole.

O antichi amanti
appartati nelle ultime tenebre
io vi ho visti
ebbri
confondere gli umori
nell’ultimo orgasmo.

Stremati,  silenti.

E’ l’ora.

Sgravato
è
il Giorno.


dalla raccolta Distesa sulla luce dell'Alba
Michela Buonagura

 









mercoledì 25 giugno 2014

CARTA PARA MICHELA HÉCTOR BERENGUER (POETA - ROSARIO - ARGENTINA)

Hay veces no hay palabras
ni para describir una semilla en su vuelo del aire.

Pero hay que intentarlo todo,
como si todo fuera posible,
para siempre,
y necesario.

En caso contrario,
aprender a morir a cada instante
o vivir como inmortales con la misma osadía.

Dibujar el sol con palabras que amamos
para ayudar a iluminar la oscuridad de la creación.

Como si la vida entera dependiera de nosotros
y la vida depende de nosotros,
aunque nadie lo crea.

Lo trágico y lo bello suceden a la vista de todos,
con la urgencia de un parto.

Vivir nos deja sus furias y esa ternura inconsolable,
que todo perdona con una sonrisa entre los labios.

Lo que no tiene remedio y la esperanza
se asocian en nosotros.

Y nos dejan al final,
tan frágiles,
pero tan necesarios.



Héctor Berenguer (poeta - Rosario - Argentina)




 

Lettera a Michela


A volte non ci sono parole

per descrivere un seme nel suo volo aereo.

Ma bisogna provare tutto,
come se fosse possibile,
per sempre
e necessario


Imparare a morire ogni momento
o vivere come immortali con la stessa audacia.

Disegnare il sole con parole d'amore
per contribuire a illuminare le tenebre della creazione.

Come se tutta la vita dipendesse da noi
e la vita dipende da noi,
anche se nessuno crea.

La visione del tragico e del bello giunge a tutti
con l'urgenza di un parto.

Vivere la sua furia e la tenerezza, lascia
inconsolabili noi
che perdoniamo tutto con un sorriso sulle labbra.

Ciò che è senza speranza e la speranza  

albergano con la stessa forza in noi.

E ci lasciano, alla fine,
così fragili,
ma così necessari



Héctor Berenguer (poeta - Rosario - Argentina)


martedì 17 giugno 2014

NEL CONO DI LUCE



È nel cono di luce che
il Buio più buio
scopre il suo buio.

Come seppia
spruzzi il tuo nero
(accidioso accidioso! )
e attacchi la mia luce.
E la strizzi nel pugno.
E vuoi imprigionarla
nel tuo buco nero.

Vorresti tu
strozzarmi nel presente?

Io sono Stella
e nel cono di luce
avanzo nella linea-universo
e attraverso
tempo e spazio.

E  filtro  tra le tue dita
e cerco il varco
e riappaio.

Più lunga.
Più lungi.

Saettante.
Liberata
Librata.


Michela Buonagura
dalla raccolta – Dammi un cuore che ascolti
diritti riservati

giovedì 12 giugno 2014

UN CASTELLO DI SABBIA





Scavi dorata rena.

La ammucchi.
La  contempli.
La sposi con l’acqua.

E mi fai regina
di un castello
di sabbia.

Ma hai dimenticato la porta.
E io resto fuori.
E ho freddo
nel sole cocente.

Michela Buonagura
diritti riservati

mercoledì 4 giugno 2014

LA LINGUA NAPOLETANA, PATRIMONIO DELL’UNESCO




L’Unesco riconosce il napoletano come lingua, e non dialetto, seconda solo all’italiano per diffusione tra quelle parlate nella penisola. Sicuramente si tratta dell’idioma italico più esportato e conosciuto grazie alla canzone classica partenopea, una delle maggiori espressioni artistiche della cultura occidentale che da più di un secolo diffonde in tutto il mondo la bellezza della parlata napoletana. Una lingua romanza che, nelle sue variazioni, si parla correntemente nell’alto casertano, nel sannio, in irpinia, nel cilento, e nelle zone più vicine di Lazio, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Molise e Puglia, ovvero tutti quei territori che nelle antiche Due Sicilie costituivano il Regno al di qua del faro di Messina laddove la lingua nazionale era appunto il Napolitano, mentre il Siciliano era la lingua nazionale del Regno al di la del faro (Sicilia).
Nonostante la meritoria e imponente opera dei grandi scrittori e compositori di musica napoletana classica, dal 1860 in poi, con la perdita d’identità del popolo meridionale, il Napoletano è però purtroppo andato sempre più degradando e oggi si sta trasformando volgarmente per molteplici cause. Prima fra tutte la mancata valorizzazione e il negato insegnamento che stanno mistificando la grammatica e la pronuncia di questa meravigliosa lingua riconosciuta dall’Unesco ma non dallo stato italiano. Di qui, dunque, l’aggressione delle contaminazioni moderne fatte di un volgare slang giovanile e di vocaboli stravolti nel significato. Ad esempio, un vocabolo come “vrénzola”, ossia “cosa da poco (sta ascénno ‘na vrenzola ‘e sole), è stato tristemente trasformato in indicazione di donna volgare.
Iniziative a tutela provano a metterle in piedi timidamente le istituzioni locali e nella seduta del 14 Ottobre 2008, il Consiglio Regionale della Regione Campania approvò un disegno di legge d’iniziativa provinciale sotto titolo “Tutela e valorizzazione della lingua napoletana”. La risoluzione attende però di trovare il suo seguito con adatte soluzioni strutturali che permettano ai più giovani di imparare grammatica, ortografia e dizione corrette.
Provate a chiedere a un napoletano, per esempio, la differenza tra apostrofo e aferesi, elementi cardini della scrittura partenopea.
Probabilmente resterà muto al sentire la seconda, ovvero quel segno diacritico che deve precedere un articolo determinativo. E qui si presenta il più frequente degli errori di scrittura oggi ravvisabili sulle insegne e sui manifesti pubblicitari in napoletano: l’articolo “il”, che si traduce in “lo” per poi divenire tronco ponendovi l’aferesi, appunto, che ne cancella la consonante iniziale, viene frequentemente scritto o’, con l’apostrofo dopo la o che segnala un’elisione inesistente, mentre andrebbe scritto ‘o, con l’aferesi che invece cancella la consonante iniziale e la sua pronuncia nella parola.
È un piccolo ma significativo esempio a cui a cascata ne potrebbero seguire tantissimi. E allora, per dare un senso didattico a questo scritto, prendo a spunto un’insegna (vedi foto), come tante se ne vedono al centro di Napoli, che è l’esatta fotografia di questa perdita di patrimonio linguistico.


Vi si legge “A’ TAVERNA DO’ RÈ”, e chi conosce e ama la lingua di Partenope non può non trasalire. Sei errori sei in una sola stringata frase! Va detto subito che la forma grammaticale napoletana corretta è: ‘A TABERNA D’ ‘O RRE. E vediamo perché.
Come detto, l’articolo determinativo “la” diventa tronco e vi si pone l’aferesi che cancella la consonante iniziale, non l’apostrofo dopo la a. La parola “Taverna” in Napoletano è più correttamente tradotta in “Taberna”, vocabolo derivante dalla lingua spagnola; ma questa è poca cosa di fronte alla preposizione articolata “del” che in napoletano diventa “d’ ‘o”, ovvero “de lo” in cui si pone l’apostrofo dopo la d che sancisce l’elisione della o e la dizione tronca, nonchè l’aferesi prima della o (vale il discorso dell’articolo “la”). Infine, in molti casi, l’articolo determinativo singolare maschile fa raddoppiare la consonante della parola che segue per indicarne e sottolinearne la dizione corretta, come nel caso di “il Re” che diventa ‘o Rre e non ‘o Ré con una sola erre e con l’improprio accento sulla e.
Insomma, un’insegna che non insegna ma disorienta e che fa tristezza pensando a quanto valga la nostra lingua e cosa significhi per la nostra cultura identitaria, che non è seconda a nessuno nel mondo.
Ai meno superficiali non resta che andare in libreria e dotarsi di testi di grammatica napoletana o spulciare in internet dove è possibile recuperare piccoli ma utilissimi saggi. Si salvi chi vuole, dunque, e trasferisca poi ai propri figli. 

di Angelo Forgione