In
principio era il Chaos, uno spazio indefinibile e imprevedibile, di fronte al
quale l’uomo provava terrore, un terrore che lo portò a cercare i suoi simili per
comprendere e controllare l’inconoscibile.
In che modo?
Inizialmente con la
religione, successivamente con la ragione, quindi fissò le norme.
Il mezzo più
efficace per veicolarle fu il mito. Il mito rappresenta un momento fondamentale
nella formazione dell’identità dell’uomo; celebra un sistema di valori, costituisce
l’exemplum, stabilisce modelli di comportamento, offre saperi pratici e li
trasmette alle generazioni successive.
Alla stessa finalità si collega la
tragedia, che ancor più del racconto mitico, coinvolgeva lo spettatore,
suscitando il raccapriccio verso l’orrido rappresentato, e lo muoveva alla
pietà, attuando la catarsi e la funzione educativa.
Oggi, la
visione dei fatti di sangue avviene tramite il mezzo televisivo e la rete. La
cronaca nera, per certi aspetti, risuscita la tragedia, con la sua fatalità,
l’orribile, l’illecito, l’immaginario collettivo, nel bene e nel male. Ma la
visione dell’accaduto non si compie con l’espiazione e la catarsi, nello spazio
contenuto del sacro, bensì in uno spazio desacralizzato, dove il pathos si
diluisce nelle numerose notizie simili, divorato dalla velocità dei mass media.
L’orrore, nonostante sia reale, al contrario della rappresentazione fittizia, consumato
al di là del vetro, si concretizza più lontano di quanto accadeva durante la
visione della tragedia, altrove, ad
altri non a me. La catarsi scompare.
Un
tempo, la famiglia tutta ascoltava, guardava i fatti di cronaca commentando con
riflessioni collettive e i genitori coglievano l’occasione per trasmettere
valori e comportamenti corretti, sollecitando nei figli anche il racconto di
esperienze personali.
Poi, i modi di vita sono profondamente mutati: oggi, la
fretta del vivere, l’ansia dell’affermazione materiale lasciano poco spazio al
rapporto tra il sé e l’altro, tra marito e moglie, tra genitori e figli.
All’educazione
dei valori morali è subentrata la preoccupazione di non far mancare i beni
materiali, che spesso vanno a riempire un vuoto affettivo e di attenzione.
Ma in
assenza di una guida, una sorta di Virgilio-ratio, ci si smarrisce nella
selva-chaos, ciascuno si fa un’idea personale del bene e del male, vive senza
regole, calpestando i principi fondamentali della civile convivenza.
E non ci
stupiamo se dei giovani stuprano una ragazzina, a turno, come se si passassero
una palla. Volevano scherzare, ha
detto qualche genitore a difesa del figlio.
Non era una partita di pallone. Quei
ragazzi, bravi ragazzi come tanti, figli di famiglie normali come tante, hanno
rovinato per sempre la vita di una ragazzina e la loro.
È successo a San
Valentino Torio, in provincia di Salerno, a pochi chilometri dal nostro paese.
L’hanno rapita in strada, mentre passeggiava, l’hanno presa come si prende
qualcosa che si trova per caso, un oggetto, di cui ci si può appropriare e fare
ciò che si vuole, meglio insieme, meglio in branco.
Nel branco non c’è colpa e
non c’è punizione. Il branco è l’indistinto, l’aggregato informe in cui l’individuo
scompare, Ciascuno è Nessuno, Outis, senza identità, impunibile.
L’identità, al
contrario, ci costringe a presentarci all’altro, a sottoporci all’elogio e al
biasimo, a essere giudicati per le nostre azioni in rapporto a un nome, una
famiglia, un luogo.
Il branco è Chaos primigenio, dove il bene e il male si
confondono, saltano le barriere, deborda l’istinto primordiale del nostro
essere ferino.
Ma quando poi si riacquista l’identità, Ciascuno dovrà fare i conti
con il proprio nome, con i valori morali della comunità di appartenenza.
Verrà punito,
ridiventerà Nessuno e dovrà intraprendere un percorso di formazione per
recuperare nome e identità.
Michela Buonagura
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