Le
associazioni Terra di Palma, FIDAPA, Laboratorio Gulliver e Noi Siamo Innocenti,
quest’anno hanno dedicato La Giornata Mondiale della Poesia alle liriche di
artiste resilienti, donne che con la loro voce sfidano sia i semplici ostacoli
del quotidiano sia quelli complessi del sistema politico internazionale,
offrendo spiragli per superare disagi familiari, economici, sociali.
Le
poete resilienti non si arrendono di fronte agli eventi negativi, ma utilizzano
il magma del dolore trasfigurandolo in arte, ristrutturano le ferite con la
parola, ricucendole con i versi. La loro poesia sprigiona una forza interiore
che si oppone alla stasi dell’accidia, all’immobilismo della depressione, al
determinismo traumatico e invita a riappacificarsi con la vita, ad
accettarne anche l’aspetto doloroso e a diventare leopardiane ginestre che
spargono intorno il loro profumo.
La
vita, contrassegnata con i suoi imprevisti da una transitorietà permanente,
pone l’essere umano in una condizione di fragilità che compromette la sfera
fisica e psichica. Di fronte alla precarietà del vivere quali le possibili soluzioni?
Come scrivere il nostro futuro desiderabile? Diventando resilienti, imparando a
resistere ai nostri “cigni neri”, comportandoci come alcuni metalli che
si piegano lievemente agli urti e poi tornano alla loro forma originaria, o
come alcuni alberi che flettono i rami alla forza delle intemperie, per non
venirne spezzati e, passata la tempesta, li svettano nuovamente verso l’alto.
Noi non siamo metalli, né alberi. Facciamo tesoro dell’esperienza traumatica,
cuciamo le ferite, diventiamo più forti, e riorganizziamo la nostra esistenza.
La cucita della ferita diviene così arte, i punti di sutura ricami ad
impreziosire la nostra anima, un po’ come avviene per i cocci dei vasi rotti
saldati con l’oro mediante la tecnica del kintsugi. “Ripariamo” l’anima e
acquistiamo una forma nuova, più pregiata, perché attraversata dal dolore,
un’anima che parla con le sue ferite. Il cammino è personale, perché siamo
unici e unico è il modo in cui viviamo le nostre esperienze; comuni e
diversificati sono i mezzi che ci permettono di ritrovare l’equilibrio: la
profondità degli affetti che abbiamo coltivato e i valori in cui crediamo.
Oggi
più che mai è avvertita questa necessità. Viviamo in una società impazzita, che
ha sostituito all’amore per la vita il desiderio di distruzione, e l’orrore è
vissuto come normalità.
Contro
la dilapidazione della società umana, può intervenire l’arte.
Se
l’arte è prodotto dell’anima, risponde a un’urgenza del sé rispetto al sé, del
sé rispetto al fuori in un particolare momento esperienziale e permette
all’artista di rispondere agli urti del contingente diventando puro spirito,
immateriale che il materiale non può lacerare, elaborando quegli urti in
divenire, nel bello artistico, epifania della sua resilienza.
L’arte è la
massima espressione della resilienza, solo l’arte può preservare la nostra humanitas,
combattere contro tutto ciò che può ledere il sistema valoriale della società,
i punti fermi che costituiscono il proprium del
nostro essere
humani, che ci distingue, in sostanza, dai non humani.
Michela Buonagura
Su Il Pappagallo 29/04/2016
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