Sono Eva, la nata dalla costola
dell’uomo.
Io la prima, la partoriente.
Da questo ventre siete nati tutti voi.
Io la prima, la maledetta, la
disubbidiente, io che ho ceduto al serpente.
Bella storia!
Se prima di aver mangiato il frutto, io
non avevo conoscenza del bene e del male, come potevo sapere, di grazia, che il
serpente fosse malvagio?
Io ero stata creata da poco, non sapevo
nulla di serpenti, ero come una bambina, come Cappuccetto rosso che non sapeva
nulla del lupo.
Sì, la mamma l’aveva avvisata, anche Dio
mi aveva avvisata, aveva detto di non mangiare i frutti dell’albero che stava
in mezzo al giardino, ma del serpente nulla. Anche lui era una sua creatura e
io mi sono fidata.
E poi, diciamola tutta, ma voi avreste
resistito?
L’albero che stava in mezzo era il più
bello, i suoi frutti i più succosi, quelli che riempiono pancia e testa, era
l’albero della conoscenza, la conoscenza del bene e del male.
Io che ero appena stata creata, che non
sapevo nulla, mi dovevo accontentare di non conoscere nulla per l’eternità?
Ho deciso, o la va o la spacca. Voglio
la conoscenza!
È andata male, mi hanno punita per
l’eternità.
Pure Adamo è stato punito, per avermi
ascoltata. È stato condannato alla fatica.
Bella condanna, come se io non lavorassi
o non avessi mai lavorato; già, la sua si chiama fatica, la mia dedizione.
Questa distinzione mi è oscura. Anche io fatico, ma il raccontino non lo dice.
Dice altro. Dice che sono stata condannata a partorire con dolore, dice che il
maschio mi avrebbe dominata.
Parliamoci chiaro, allora! Adamo non è
stato condannato, è stato premiato, gli avete dato lo scettro del comando,
altro che condanna. Gli avete dato il potere.
L’unica ad essere condannata sono stata
io. Mi sa che questa bella storia l’ha scritta un maschio, per assicurarsi il
potere per l’eternità. Così sarà andata.
Perché, vedete, quella del dolore del
parto l’ho capita, ci vuole una fatica enorme per partorire, il corpo che è
tutto un travolgimento, lo sappiamo no?
Ma questa cosa del dominio, proprio non
mi scende. Come se fossi una deficiente.
Da lì è cominciato tutto.
Hanno detto che io sono nata dopo e
quindi vengo dopo, che sono stata creata dalla costola e allora dipendo
dall’uomo.
Bella storia!
Che sia stata creata dopo, non significa
che sono meno importante.
Senza di me, senza di voi, che siete
figlie mie, senza noi donne, la terra si
spopolerebbe, ci sarebbe la morte.
Noi abbiamo un potere smisurato. Pensate,
se noi tutte facessimo uno sciopero generale di astinenza, non nascerebbe più
nessuno e in quattro e quattr’otto finirebbe il mondo.
Gli uomini ci temono, temono il potere
che abbiamo di procreare, ancora oggi ci guardano con occhi pieni di curiosità,
ancora oggi.
Per secoli ci hanno rinchiuse in casa perché
volevano essere certi che i figli che
partorivamo fossero i loro, hanno pensato che era meglio rinchiuderci e magari
metterci una bella cintura di castità, per la paura che avevano di questo
nostro potere, una cintura di castità al ventre e al cervello.
La
nostra identità biologica è divenuta, così, simbolo di disuguaglianza e di
disparità.
Saecula
saeculorum.
Per
questa nostra potenzialità riproduttiva hanno stabilito che dovevamo e potevamo
essere solo madri e mogli.
Ci
hanno ingabbiato nel ruolo di angeli del focolare domestico, facendola passare
come una legge di natura.
Ci hanno riempita la testa di melassa,
ci hanno insegnato che eravamo naturalmente disposte al servaggio, alla
pazienza, alla beatificazione e alla santificazione, mortificando la fiducia in
noi stesse, per renderci prone a una vita di dipendenza.
Ci hanno cucita addosso una parte che
non poteva esprimere tutte le parti del nostro essere donne, costringendoci a
mutilarci continuamente.
Quante intelligenze sprecate, per
secoli.
Noi non siamo solo ventre, noi siamo
cuore, testa.
Noi siamo Eve e siamo le disubbidienti.
A un certo punto abbiamo deciso che
avevamo diritto alla felicità.
A un certo punto abbiamo deciso di non
essere più considerate esseri ibridi, appendici del maschio alfa, appendici
prima del padre e poi del marito.
A un certo punto, abbiamo smesso di
essere Tacite Mute.
E siamo scese nelle piazze a gridarlo e l’abbiamo
pretesa la felicità.
Noi Eve, le disubbidienti.
Non ci maledite, è la disubbidienza la
molla della civiltà.
Michela Buonagura
@ vietata la riproduzione
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