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La scrittura è uno strumento di conoscenza.
Fa luce dentro di te e rende chiaro qualcosa che prima era oscuro.

giovedì 5 dicembre 2019

CONTO I PASSI: VENTINOVE STORIE DI DISAMORE DI MICHELA BUONAGURA

 


Il volume Conto i passi, che ha per sottotitolo Storie di disamore di Michela Buonagura, docente dell’ I.S.I.S. “Rosmini” di Palma Campania, presentato in occasione della Giornata contro la violenza di genere, presenta vari motivi di interesse, che testimoniano anche l’impegno sociale dell’autrice, che per le sue storie si è ispirata a fatti di cronaca, elaborati in forma narrativa. Ma, prima di entrare nello spazio della scrittura, soffermiamoci sulle soglie del testo e in particolare sulla copertina, che di per sé sintetizza ed esprime l’essenza delle varie storie raccontate. Su uno sfondo rosso una figura di donna in primo piano occupa l’intero campo visivo: capelli viola, volto completamente bianco in cui mancano occhi naso orecchie, tranne le labbra rosse; bianchi anche il collo e il petto. Colori scelti per le sensazioni e i sentimenti che trasmettono al lettore, che può costruire attraverso di essi il suo orizzonte di attesa. Il non colore bianco del corpo femminile ha un che di fantasmatico, implica assenza, silenzio, interiorità che non esplode in superficie, segno di una donna senza identità. I capelli viola rinviano ad un sovrasenso allusivo. Il colore viola, infatti, per la freddezza del suo timbro emozionale e il movimento centripeto che lo caratterizza, esprime un restringimento della vita psichica e viene associato al dolore della separazione e all’irrimediabilità della perdita. Il rosso implica oscillazione tra polarità negativa e positiva: da una parte la passione, la violenza, il sangue, dall’altra uno spiccato grado di energia e la tensione feconda verso il rinnovamento. Non a caso l’unica parte raffigurata nel volto, come detto, sono le labbra che possono aprirsi, esprimere un pensiero, gridare un dolore, che possa giungere a un destinatario disponibile all’ascolto. Segni che hanno anche una funzione metaletteraria, ad indicare l’ “intentio” della scrittrice, che materializza parole sulla pagina per dare un volto alle donne invisibili e restituire la parola a chi rimane muta di fronte alla violenza, per portare alla luce un fenomeno che spesso si preferisce dimenticare. Storie di disamore L’autrice scrive ventinove storie di “disamore”, proiettandosi volta per volta nel personaggio che racconta in prima persona; non solo donne, che subiscono violenza, ma anche uomini che usano violenza, figli che ne scontano le conseguenze. Si alternano così, come personaggi che su una scena teatrale raccontano il loro dramma rivolgendosi al pubblico, la giovane donna uccisa dal marito per gelosia, la ragazza abusata dal mostro di famiglia, la giovane attratta e sedotta dalla “rete”, la bambina venduta per prostituirsi, l’ “onesto padre di famiglia” che uccide la ragazza da cui è ossessionato, il figlio traumatizzato dalla scoperta che la madre è stata uccisa dal padre, la studentessa violentata dal branco… Storie di vite umiliate, spezzate, infrante, che disturbano il lettore, gli penetrano dentro fino a procurargli una reazione di disagio psicofisico, da rielaborare e su cui riflettere per filtrare il dato emotivo attraverso la freddezza della riflessione. Segni di stile Il linguaggio è essenziale e fluido e i vari monologhi si liberano dalla gabbia della pagina scritta per trasformarsi in una voce, variamente modulata, ora sommessa ora urlata ora amaramente ironica ora riflessiva, che colpisce il corpo del lettore. Prevale la tecnica dello “straniamento”, che risulta in questo caso particolarmente efficace. Si rappresenta ciò che è normale come se fosse strano e ciò che è strano come normale: che è una conseguenza della differenza tra gli opposti punti di vista delle voci delle donne, nei cui sentimenti autentici si riconosce l’autrice, e dei maschi, che quei sentimenti li interpreta in senso rovesciato. Molti i monologhi cui si può fare riferimento. Un esempio per tutti, Era consenziente, dove l’io maschile narrante nella sua deposizione al giudice, rievocando la violenza in macchina, dice: “ Lei mi lasciava fare. Non ha detto nulla, sì, ora che ricordo, diceva no no, ma è come se non dicesse nulla. Lo sa, no, che quando una ragazza dice no è sì ? E’ la prassi, Dicono no per dire sì”. Agghiacciante. 

 

Pasquale Gerardo Santella

 

Il libro Conto i passi - Storie di disamore di Michela Buonagura è reperibile sulla piattaforma Amazon. https://www.amazon.it/dp/B0BM3NMMZG

 

venerdì 22 novembre 2019

CONTO I PASSI-STORIE DI DISAMORE

Nelle sue storie di dis-amore Michela Buonagura dà voce alla sofferenza di donne violate, che reclamano la vita interrotta e le riporta, come una sacerdotessa, dal buio alla luce. Per questo ricorre alla tecnica del monologo, che risponde in modo efficace allo scopo, funzionale all’indagine introspettiva adottata. Il monologo, infatti, pone al centro della narrazione la complessa dinamica della vita psichica del personaggio, di cui uno scrittore interpreta le percezioni sensoriali, in una sorta di autoanalisi continuata. Utilizzato nelle più importanti opere letterarie del Novecento, richiede una forma di espressività tra le più complesse. Scriverlo non è da tutti. Lo stile esige una competenza che più di altre forme di scrittura narrativa deve coinvolgere emotivamente il lettore, trasformandolo da fruitore in agente del messaggio. I testi di Michela Buonagura sortiscono tale effetto. I personaggi, sfregiati dalla violenza e annullati nella morte, irrompono sulla scena, chiedono al lettore-spettatore pietas e lo trascinano al pathos. Talmente forti sono le storie dis-velate che la stessa autrice, a tratti, ne prende le distanze e indossa la maschera dell’ironia, con forzature grammaticali e lessicali, per non esserne straziata. Il punto di vista è del protagonista-narratore, la prospettiva ristretta e parziale.

Rosaria è bella, ma l’avete vista? Ma avete visto che capelli? Lunghi e neri, di seta, fisico alla Belen, ma la farfalla no, non avevo voluto che se la facesse tatuare proprio lì, in mezzo alle cosce. Quando me l’ha chiesto, per essere proprio chiaro, le ho mollato uno schiaffo sulla faccia; le ho lasciato il segno delle mie belle cinque dita e le è uscito il sangue dal naso. Così non se lo dimenticava. La voglio bella, truccata, sexy, ma solo per me. Quante volte gliel’ho ripetuto, ma non lo vuole proprio capire, gliel’ho pure scritto, in un biglietto con il regalo per il suo compleanno: -Tu sei mia, solo mia- 

 

 Il protagonista racconta una tranche de vie, proponendo la sua versione dei fatti. La scrittrice si eclissa e lascia al lettore l’incombenza di ricostruire gli aspetti più irrazionali e inquietanti dell’intera storia. Il ricorso alla prima persona lascia libero campo al lettore di riflettere, di orientarsi autonomamente nell’analisi, di indignarsi o di commuoversi, di vivere liberamente le proprie emozioni.  

 

Freddo. Sento un freddo cane. Non sento più il mio corpo. Mio non più mio, no. Provo ad allungare le gambe, le stringo e le alzo fino alla pancia, posizione fetale la chiamano, forse vorrei ritornare ad essere un feto libero e fluttuante nel liquido amniotico. Felice nella mia culla d’acqua, al caldo. L’erba è diventata ghiaccia. Non sento nessuna voce, nessun rumore, sono sola. 

 

Le vicende parlano da sole, gridano dolore, palesano un silenzio agghiacciante, quel silenzio paralizzante della paura e della ritorsione, dettato dalla condizione di soggezione, che si instaura tra vittima e carnefice. Il silenzio è un mostro sfuggente, difficile da combattere. Contro questo silenzio si levano le voci delle vittime protagoniste delle storie, affinché siano applicate leggi severe e si diffonda una nuova cultura, a regolare i rapporti uomo-donna, fondati sulla dignità e il rispetto reciproco. Per chi conosce Michela, sa con quale tenacia denuncia tali problematiche con attività di impegno sociale. I suoi monologhi sono testimonianze di una realtà violenta che quotidianamente riempie le pagine di cronaca e che noi leggiamo con orrore, ma impotenti e incapaci di dare un minimo contributo individuale, chiusi nel nostro particulare. Perciò un ringraziamento a nome di tutte le donne a Michela Buonagura, che ci invita alla lettura di queste storie ir-reali, ma estremamente vere.

 

Livia De Pietro (critica letteraria)

Il libro Conto i passi - Storie di disamore di Michela Buonagura è reperibile sulla piattaforma Amazon. https://www.amazon.it/dp/B0BM3NMMZG

 

 

 

 


 


lunedì 2 settembre 2019

BELLE DI NOTTE

 

 

Noi non siamo solo ventre, noi siamo cuore, testa.
Noi siamo Eve e siamo le disubbidienti.
A un certo punto abbiamo deciso che avevamo diritto alla felicità.
A un certo punto abbiamo deciso di non essere più considerate esseri ibridi, appendici del maschio alfa, appendici prima del padre e poi del marito.
A un certo punto, abbiamo smesso di essere Tacite Mute.
E siamo scese nelle piazze a gridarlo e l’abbiamo pretesa la felicità.
Noi Eve, le disubbidienti.
Non ci maledite, è la disubbidienza la molla della civiltà.

 

Nella magica atmosfera della corte del Palazzo Aragonese di Palma Campania, si è svolto l’evento Belle di Notte, spettacolo di musica, arte, cultura, con momenti culturali sulla figura della donna e il  Gran Galà di moda dei migliori stilisti del territorio, organizzato dall’Associazione culturale  Naturae, con il patrocino dell’Assessorato alla cultura di Palma Campania.

Ha aperto lo spettacolo Michela Buonagura, autrice di poesie e scrittrice sensibile alle varie forme artistiche della parola, che con il suo monologo Eva, con il quale ha sottolineato la parità di genere, ha lasciato brividi di emozione e riflessione.

Il momento culturale è stato arricchito dalla calda voce dello scrittore Luigi Romolo Carrino con l’incipit del suo ultimo romanzo, di prossima pubblicazione, “Non è di maggio”.  Orgoglio della nostra terra, è autore di molteplici romanzi, molti incentrati sulla figura della donna madre, libri di poesia, racconti monografici, editor freelance, ghostwriter.