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lunedì 27 gennaio 2014

COME RICORDANO I BAMBINI DELLA SHOAH




I ricordi degli adulti nei campi di sterminio sono resoconti dettagliati e precisi in cui la fantasia non ha mai potuto e voluto trovare spazio. Ma chi nei lager è nato o cresciuto e non ha avuto altra vita è costretto a dare una forma artistica al dolore. E anche questo è testimonianza

di AHARON APPELFELD

Sono passati sessantanove anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. E ora mi sembra che stiamo entrando in una fase nuova del nostro rapporto con l'Olocausto. Il cambiamento è sempre più evidente perché i sopravvissuti stanno lasciando questo mondo. I sopravvissuti erano e rimangono lo spauracchio di chiunque scriva sull'Olocausto, si tratti di uno storico o di uno scrittore. I sopravvissuti stavano sempre in guardia per controllare che gli eventi fossero riferiti nell'ordine giusto, che località e nomi non fossero omessi, che i particolari non fossero alterati. Per il sopravvissuto era importante che l'Olocausto fosse raccontato con dettagli precisi.
Per il sopravvissuto, la memoria cronologica era l'ancora alla quale aggrapparsi con tutte le proprie forze. Scrivere sull'Olocausto opere di fantasia è stato considerato, e lo è tuttora, qualcosa di inadeguato alla gravità dell'argomento. Si sente spesso dire: con l'Olocausto non si gioca con le parole o le forme, ma si raccontano le cose così come andarono, nel modo più preciso possibile. In questo ambito, l'introduzione di un elemento qualsiasi di creatività, che esuli dal ricordo in senso stretto, è proibito. Non è un caso che la maggior parte di ciò che si è scritto sull'Olocausto rientri nell'ambito della storia. Psicologia e teologia vi occupano una parte soltanto minima. È vero, sull'argomento si è scritta moltissima letteratura sensazionalistica e opere letterarie che contengano la verità sono rare.
Finché i sopravvissuti hanno vissuto in mezzo a noi, l'Olocausto è stato una presenza molto concreta. Aveva un nome proprio, un cognome, una città, un villaggio. Con la sua presenza, con il suo silenzio, raccontava le atrocità. Potevi incontrarlo per strada, a casa sua, alle cerimonie commemorative. Di fatto, ovunque. Sull'Olocausto è stato scritto un abbondante corpus di testimonianze. Se si osserva la natura di tale testimonianza, ci si rende subito conto che essa è priva di introspezione, la maggior parte delle testimonianze è resoconto. Tutto ciò che fu rivelato a chi era ebreo durante quegli anni andava oltre la sua ragione e il suo spirito.
Si era trovato nel luogo esatto in cui si erano perpetrate quelle atrocità, e una volta libero aveva desiderato considerare il tutto un incubo, uno squarcio nella vita che doveva essere ricucito prima
possibile, un orrore che non meritava una valutazione spirituale, ma soltanto una maledizione. Per evitare malintesi, aggiungo subito che la letteratura della testimonianza è indubbiamente l'autentica letteratura dell'Olocausto. È una riserva immensa di cronologia ebraica.
Oggi si fa avanti un tipo diverso di sopravvissuto: tutti coloro che erano bambini quando scoppiò la guerra e la loro testimonianza è diversa. I bambini non assorbirono fino in fondo tutto l'orrore delpri
ma soltanto quella porzione che erano in grado di assorbire. I bambini sono privi del senso del tempo che passa, del confronto con il passato. Mentre il sopravvissuto adulto parlava di com'era la sua vita prima della guerra, per i bambini l'Olocausto era il presente, era la loro infanzia, la loro giovinezza. Non conoscevano altra infanzia, né la felicità. Crebbero nel terrore. Non conobbero altra vita. Mentre gli adulti poterono estraniarsi da loro stessi e dai loro ricordi, reprimerli e costruirsi una nuova vita al posto di quella precedente, i bambini non avevano avuto una vita precedente oppure, se anche l'avevano avuta, ormai gliel'avevano cancellata. L'Olocausto era il latte nero, come disse Paul Celan, che succhiavano al mattino, a mezzogiorno, a sera.
Questo aspetto psicologico ha avuto anche un significato ideologico. L'Olocausto per lo più è concepito, perfino tra le sue vittime, come un episodio, una follia, un'eclissi che non appartiene al flusso normale del tempo, un'eruzione vulcanica dalla quale bisogna stare in guardia, ma che non dice niente sul resto della vita. Nel caso dei bambini cresciuti nell'Olocausto, la vita durante quegli anni fu qualcosa che erano in grado di capire, perché l'avevano assorbita nel loro stesso sangue. Conobbero l'uomo bestia predatrice, non metaforicamente, ma come realtà materiale, con tanto di corporatura e abbigliamento, modo di stare in piedi o seduto, modo di carezzare i proma figli e percuotere un bambino ebreo. I bambini stavano seduti per ore, e osservavano. Fame, sete, debolezza ne fecero creature che osservavano. Invece degli assassini, osservavano i loro padri e i loro fratelli maggiori in tutta la loro debilitazione, in tutto il loro eroismo. Quelle visioni si impressero in loro proprio come l'infanzia si imprime nella matrice stessa della propria carne.
Per i bambini sopravvissuti, la guerra era la vita. Non sapevano parlare dell'Olocausto in termini storici, teologici o morali. Potevano parlare soltanto di paura, di fame, di colori, di celle, di persone che erano state buone con loro o di persone che li avevano maltrattati. L'intensità della loro testimonianza sta tutta nel loro orizzonte limitato. Non stupisce che la loro testimonianza sia stata respinta dai sopravvissuti adulti. Era considerata da questi ultimi una fantasia, una distorsione, qualcosa che riduceva la gravità dell'argomento. E oggi che si diffonde la negazione dell'Olocausto, si sente spesso dire: rimuovete la fantasia dalle testimonianze sull'Olocausto. Dovreste attenervi sempre più ai fatti.
Oggi abbiamo un corpus di testimonianze, scritte e orali, di sopravvissuti bambini e la loro testimonianza è più vicina alla letteratura. I loro ricordi sono piccoli, e quando riescono a ricordare che cosa accadde loro durante la guerra mettono in moto fantasia, sensazioni e sentimenti per ricostruire il loro passato. Questo tipo di testimonianza non dovrebbe essere considerato una testimonianza fattuale, ma una testimonianza riorganizzata.
Durante la guerra non vidi molti bambini. Istintivamente capii che dovevo stare per conto mio, ma dopo la guerra ne incontrai molti. Appartenevano alle masse di sopravvissuti che si aggiravano sulle spiagge della Jugoslavia e dell'Italia. Gli anni di guerra trascorsi nelle foreste e nei monasteri avevano lasciato il segno sulle loro facce e nelle loro espressioni. Alcuni di loro cantavano bene. Dico bene, anche se in genere le loro voci erano incrinate. Le loro canzoni erano reminiscenze delle melodie delle loro case ebraiche mescolate a frammenti di musica d'organo dei monasteri. Tutto ciò si fondeva in loro in una nuova forma di melodia che soltanto i bambini, nella loro cecità, potevano creare. La puoi definire innocente, o soltanto inelegante. C'erano bambini acrobati, che camminavano con meravigliosa maestria su una corda tesa. Nei boschi avevano imparato ad arrampicarsi sui rami più alti e più sottili. C'erano anche bambini che imitavano animali e uccelli.
Parlo del destino dei bambini perché è da loro che, col passare del tempo, sono emerse espressioni artistiche. È strano dirlo così, ma lo si deve dire. Era necessaria una forma di relazione semplice, diretta, non mediata con quegli spaventosi eventi per poter parlare di loro in termini artistici. Nessuna sublimazione, nessuna scusa, e nemmeno glorificazione, ma soltanto il modo che ha una persona qualunque di parlare degli eventi della propria vita, per quanto terribili possano essere, ma in ogni caso sempre vita.
Quello era il modo di parlare, se così si può dire, dei bambini. Quello era il modo col quale si espressero quando erano nel ghetto e in seguito nei campi liberati, e qualcosa di quella qualità non mediata è rimasta loro dentro, anche dopo che sono cresciuti e hanno cercato sé stessi, come esseri umani e come ebrei. Nel corso degli anni il problema, e non solo il problema artistico, è stato quello di rimuovere l'Olocausto dalle sue dimensioni smisuratamente disumane e di avvicinarlo agli esseri umani. Per sua stessa natura, quando si tratta di descrivere la realtà, l'arte esige sempre una certa intensità, una forma di esagerazione. Ma non è il caso dell'Olocausto. Ogni cosa che lo riguarda sembra già profondamente irreale, come se non appartenesse più all'esperienza della nostra generazione, ma alla leggenda. Da qui nasce l'esigenza di riportarlo giù, nel regno dell'umano. Quando dico "riportarlo giù", non intendo semplificare, attenuare o lenire tutta la sua atrocità: intendo cercare di far sì che gli eventi parlino attraverso il singolo e nella sua lingua, intendo recuperare tutta la sofferenza da cifre enormi e dall'atroce anonimato, intendo restituire il nome e il cognome al singolo, ridare al torturato la forma umana che gli è stata rubata.
I sopravvissuti bambini non possono ricordare l'Olocausto nello stesso modo dei sopravvissuti adulti. Il loro contributo è legato alla loro esperienza, ma la loro limitata esperienza è profonda. Non stupisce che proprio da loro sia iniziata la letteratura dell'Olocausto.
(Traduzione di Anna Bissanti)


LA SHOAH DEI BAMBINI. LA PERSECUZIONE DELL'INFANZIA EBRAICA IN ITALIA 1938-1945

autore: Maida Bruno

Questo libro racconta la storia dei bambini ebrei che furono perseguitati e deportati dall'Italia, in una vicenda che si dipanò dal 1938 al 1945. Esso non ripercorre solo le complesse realtà che vissero gli adulti bensì riattraversa quegli anni "con occhi di bambino". È un'espressione, questa, che non significa solo collocare al centro della narrazione il punto di vista dell'infanzia e i percorsi di una memoria specifica, segnata da esperienze in parte diverse rispetto a quelle dei genitori. È un'espressione che sottolinea come nella ricostruzione storica della persecuzione e della deportazione dei bambini italiani ebrei vengano analizzate le strategie e i comportamenti della vita quotidiana - dal gioco allo studio, dal rapporto con gli altri famigliari agli oggetti e ai luoghi - che restituiscono un mondo articolato di paure e speranze, il libro racconta sia come vissero concretamente quei bambini, sia l'aspetto psicologico più strettamente legato al trauma, poiché fu un'esperienza che coincise con la fase della crescita, indirizzando per sempre alcuni elementi della loro identità e del loro rapporto con il mondo, il tema della mancata reintegrazione, in termini materiali e simbolici, da parte del nostro paese, induce l'autore a spingere la sua ricostruzione fino al dopoguerra, così da portare la riflessione sulle responsabilità collettive che tuttora ci interrogano. 

 Un libro che riattraversa «con occhi di bambino» le tragiche vicende della persecuzione antiebraica.

La storia della persecuzione antiebraica attuata dal fascismo tra il 1938 e il 1945 ci è ormai ben nota, ma raramente ci si è soffermati a riflettere su cosa abbiano significato quei tragici sette anni per i bambini italiani. Per i bambini «ariani», cresciuti nell'educazione al razzismo e alla guerra, e, soprattutto, per i bambini ebrei, allontanati da scuola, testimoni impotenti della progressiva emarginazione sociale e lavorativa dei genitori, quando non della distruzione e dell'eliminazione fisica della propria famiglia. Da questa prospettiva - peculiare, e tuttavia indispensabile per comprendere l'essenza di una persecuzione razziale, dunque fondata propriamente sulla nascita - la storia che abbiamo alle spalle assume nuovi significati e stratificazioni. Il regime fascista iniziò ad attuare la discriminazione proprio dal mondo della scuola, e i bambini ebrei - prima espulsi, poi separati, esclusi ed infine internati - furono vittime tra le vittime. Una parte di essi fu poi deportata, gli altri dovettero fuggire e nascondersi per molti mesi. Bruno Maida ne ripercorre la storia attraverso i progressivi stadi della persecuzione, attento a cogliere non solo lo sguardo che l'infanzia ebbe di fronte al turbinio dei fatti, ma la portata politica di una ferita impossibile da sanare, se non, forse, in un profondo tentativo di comprensione. Sapientemente in bilico tra due registri - narrativo e storiografico - il libro si colloca in un filone d'indagine che vede crescere a livello internazionale l'interesse verso la storia dell'infanzia nel Novecento.

RACCONTARE LA SHOAH

Le illustrazioni dei borsisti di Fabrica in mostra a Sarno fino al 27 gennaio.

di Marta Stella - -


Sette illustrazioni ispirate alle poesie dei piccoli prigionieri del campo di concentramento di Terezín, attuale Repubblica Ceca, che guardano lontano con un solo obiettivo: ricordare gli orrori dell'Olocausto per tenere sempre viva la memoria di un passato che non deve ripetersi più. Questi, insieme a oltre quaranta tra disegni, fumetti e vignette sono i lavori dei giovani borsisti di Fabrica, in mostra all'interno dell'esposizione I bambini della Shoah, organizzata dalla onlus Nuova Officina. L'appuntamento è nelle sale del Museo Archeologico Nazionale della Valle del Sarno, fino al 27 gennaio.


Carmen, I bambini della Shoah Fabrica
Diiorio, I bambini della Shoah Fabrica
Fabbro, I bambini della Shoah Fabrica
Irina, I bambini della Shoah Fabrica
Montanari, I bambini della Shoah Fabrica

Sam, I bambini della Shoah Fabrica


Kulachek, I bambini della Shoah Fabrica


venerdì 24 gennaio 2014

DICI-AMO NO AL FEMMINICIDIO! GRUMO NEVANO

 

Sabato 25 gennaio 2014 alle ore 17.00, nello splendido Auditorium della Parrocchia di Santa Caterina a Grumo Nevano, l’associazione “Un amore Speciale” e il gruppo “Siamo Innocenti” presentano: DICI-AMO no al femminicidio.

E’ lunghissimo l’elenco delle donne uccise nel 2013, le vittime sono state 128. Una violenza, quella contro le donne, che si scatena quasi sempre all’interno delle mura domestiche, all’interno di rapporti affettivi, provocando, quando non si arriva alla morte, danni gravissimi nella dimensione della fiducia, sia verso se stessi che verso gli altri. Colpisce il 35% delle donne nel mondo, a prescindere dalla religione e stato sociale. Dietro queste cifre ci sono drammi e vite scippate. Donne uccise per gelosia. Donne uccise perché avevano lasciato. Donne uccise perché maltrattate per anni. Donne uccise perché donne.

Convinti che molte morti possono essere evitate con la denuncia e la guida di persone specializzate, il gruppo “Noi siamo innocenti” formato da artisti ed esperti accomunati dalla finalità di sensibilizzare sul fenomeno femminicidio, attraverso l’Arte e sotto la guida di specialisti, presenta le opere realizzate per la prevenzione e l’educazione al rispetto e alle differenze di genere. 

Modera: Enzo Marseglia: presidente dell’associazione Un amore speciale

Interverranno: Dott. Vincenzo Brasiello: Sindaco di Grumo Nevano. Padre Domenico Silvestro: parroco della parrocchia di Santa Caterina. Anna Del Prete (assistente della Polizia di Stato), dott. Ludovico Carnile (Gruppo Siamo Innocenti – psicologo clinico e assistente sociale), prof.ssa Michela Buonagura (poeta -Gruppo Siamo Innocenti), prof.ssa Teresa Commone videopoesia (poeta - Gruppo Siamo Innocenti) dott.ssa Rosa De Nicola (avvocato -Gruppo Noi siamo innocenti), dott.ssa Eva Schioppa.

Esporranno le loro opere gli artisti: Pina Candileno (Gruppo Siamo Innocenti – pittura) Salvatore Pasovino D’Ambrosio (Gruppo Siamo Innocenti – pittura e fotografia)- Stefania Miro (scultura)- Nicola Villano (pittura).

Con la partecipazione della flautista Monica Manzo e del percussionista Roberto Mauro.

 

25-01-2014

 


DICI-AMO NO AL FEMMINICIDIO! 

 

Sabato 25 gennaio 2014, nello splendido scenario dell’ Auditorium della parrocchia di Santa Caterina a Grumo Nevano (NA), il gruppo “NOI SIAMO INNOCENTI!” e l’associazione “UN AMORE SPECIALE” hanno presentano DICI-AMO no al femminicidio! Una serata all’insegna dell’arte in ogni sua espressione, per trattare un tema molto delicato: quello della violenza sulle donne. E’ lunghissimo l’elenco delle donne uccise nel 2013, le vittime sono state 128. Una violenza che si scatena quasi sempre all’interno delle mura domestiche, all’interno di rapporti affettivi, provocando, quando non si arriva alla morte, danni gravissimi nella dimensione della fiducia, sia verso se stessi che verso gli altri. Colpisce il 35% delle donne nel mondo, a prescindere dallo stato sociale, dalla condizione, dalla religione. Dietro queste cifre ci sono drammi e vite scippate. Donne uccise per gelosia. Donne uccise perché avevano lasciato. Donne uccise perché maltrattate per anni. Donne uccise perché donne. Convinti che molte morti possono essere evitate con la denuncia e la guida di persone specializzate, il gruppo “NOI SIAMO INNOCENTI!” che unisce artisti ed esperti accomunati dalla finalità di sensibilizzare sul fenomeno femminicidio, attraverso l’arte e sotto la guida di specialisti, ha presentato opere di denuncia del fenomeno per la prevenzione e l’educazione al rispetto e alle differenze di genere. Un grazie va a tutti gli artisti intervenuti che hanno allestito la mostra: Pina Candileno (Gruppo Noi siamo innocenti! - pittura) - Salvatore Pasovino D’Ambrosio (Gruppo Noi siamo innocenti! - pittura e fotografia) - Stefania Miro (scultura) - Rosaria Pascale (pittura) - Nicola Villano (pittura), i musicisti: Monica Manco (flautista) e Carlo Cozzolino (percussionista).

L’evento è iniziato con i saluti del dott. Vincenzo Brasiello, sindaco di Grumo Nevano e di padre Domenico Silvestro, parroco della parrocchia di Santa Caterina che ha illustrato la figura di Santa Caterina, martire di violenza. Ha moderato Enzo Marseglia, presidente dell’associazione “Un amore speciale”. Interessanti sono stati gli interventi. Anna Del Prete, assistente della Polizia di Stato ha evidenziato l’impegno del commissariato di Frattamaggiore nella lotta alla violenza sulle donne; il dott. Ludovico Carnile (Gruppo Noi siamo innocenti - psicologo clinico e assistente sociale) ha parlato della violenza sulle donne: Stereotipi e pregiudizi e dell’accoglienza della persona che ha subito violenza. Lo Stalking e femminicidio nella normativa vigente è stato illustrato dalla dott.ssa Rosa De Nicola, avvocato (Gruppo Noi siamo innocenti). La dott.ssa Eva Schioppa ha illustrato la violenza nei dipinti attraverso la figura di Artemisia Gentileschi. Il valore catartico dell’arte nella declamazione della lirica in vernacolo: Io conto ‘e passe della prof.ssa Michela Buonagura (Gruppo Noi siamo innocenti!), nella video-poesia “Violenza” della prof.ssa Teresa Commone (Gruppo Noi siamo innocenti!).

 

ARTICOLO SUL ROMA DELL'EVENTO A GRUMO NEVANO