Sabato scorso 9 novembre 2024 a Vico di Palma presso il Circolo
Tenente Tommaso Carbone, ho presentato il libro Conto i passi - Storie di Disamore. La sala, che si presta
bene al salotto letterario, era piena di un pubblico attento, interessato per
una tematica attuale, la violenza fisica e psicologica contro le donne.
L’incontro è stato moderato da Adelina Mauro, che ha
introdotto con grande sensibilità il mio lavoro e le tematiche trattate nel
libro. Dopo i saluti iniziali e l’intervento di Elvira Franzese, Presidente del
Consiglio Comunale di Palma Campania, che ha sottolineato l’importanza di
educare ai valori affettivi, è stato il mio turno di raccontare qualcosa di più
su di me, sul mio percorso di scrittura e sull’impegno sociale che accompagna
ogni mio progetto.
Un momento molto significativo per me è stato il dialogo
con Luigi Romolo Carrino, che ha curato la quarta di copertina del libro.
Abbiamo parlato della potenza del mio lavoro, dell’impegno che c’è dietro ogni
parola scritta, e di come il titolo *Conto i passi* sia nato dall’emozione
suscitata dalla celebre installazione delle scarpe rosse dell’artista messicana
Elina Chauvet, che denuncia il femminicidio e gli abusi sulle donne. È
un'immagine che mi ha segnato, e che credo rifletta perfettamente la
drammaticità delle storie che racconto nel mio libro.
Luigi Romolo Carrino ha ricordato i tanti eventi che ho organizzato in vari paesi della Campania già prima della
pubblicazione della raccolta di monologhi, poi mi ha chiesto:
“Il titolo del libro si richiama a una lirica nata dall’emozione
suscitata dall’installazione nel 2009 delle
scarpe rosse dell’artista messicana
Elina Chauvet per denunciare gli abusi sulle donne e il femminicidio. È una lirica che suscita forti emozioni,
vorrei che tu la leggessi per noi” ha continuato Carrino.
E ho letto i miei versi in vernacolo, la lingua
del cuore. Sono stati letti anche diversi
monologhi, che hanno suscitato forte commozione nel pubblico in sala. Forbici, Sono un uomo maltrattante, Io sono il figlio
di, Il branco, per affrontare la violenza di
genere a 360 gradi.
Carrino ha dialogato sugli argomenti più disparati, coinvolgendo il pubblico.
“Il lettore trova in ogni singolo componimento una poetica ricorrente, in questa scrittura potente quanto disarmante, temi che ruotano intorno alla figura muliebre, figura femminile non intesa solo in ottica occidentale. Contro le discriminazioni di genere, difesa dei diritti delle donne, grido contro la violenza sulle donne, urlo he squarcia le nostre coscienze per storie di disamore, sottotitolo del testo, per denunciare quello che molto spesso viene sbandierato come bene, ma in realtà è possesso e narcisismo patologico, conseguenza di un patriarcato esercitato senza alcuna intenzione di revisione, di modificazione dei comportamenti ancestrali ereditati secolo dopo secolo. Le pagine di Buonagura raccontano di donne vessate, martirizzate, mogli, madri, figlie, di donne che hanno perso la vita, di bambine violate, ragazze tradite, ferite, ingenuamente fiduciose verso uomini che Silvia Plath definirebbe ominomuncoli (si è uccisa questa poetessa), ma anche di uomini che capiscono il loro errore e di altri che non lo capiranno mai.”
La dottoressa Elvira Franzese, Presidente del consiglio
comunale di Palma Campania, ha sottolineato che l’evento ha importante
levatura sociale e più volte è intervenuta nella serata con il suo pensiero
facendo riferimento alla famiglia e alla scuola, evidenziando che bisogna
educare all’affettività, dare senso ai valori. Un argomento che si è prestato a
varie riflessioni.
Dove nasce
questa tua vocazione? Perché di questo si tratta: di vocazione germinata dalla
rabbia e dalla frustrazione di non poter fare altro che parlare e parlare,
divulgare, con l'arma affilata della parola, disubbidendo al silenzio e
all'omertà. E lo fai dal 2012.
Non è una
vocazione, è impegno civile, è condurre una battaglia perché qualcosa cambi,
come quando conducevo da ragazza le mie battaglie nelle manifestazioni per i
diritti delle donne. Non c’è niente di eccezionale in questo, credo che tutti
noi dovremmo combattere per un cambio di mentalità, nel quotidiano, in ogni
luogo, come si faceva quando io ero giovane, se davvero vogliamo porre fine
alle violenze. Una lotta che dovrebbe vederci impegnati tutti, donne e uomini.
“La tua
scrittura genera immediatamente empatia con i sentimenti che queste donne
esprimono, attraverso il racconto delle loro esperienze, dentro differenti
contesti, ma hai sentito l'esigenza di parlare anche di uomini, perché è quella
mentalità che va cambiata.
Uomini e ragazzi
come tanti, che conosciamo, eppure figli di una cultura patriarcale in cui la
donna è un possesso, una proprietà, una mentalità maschilista che pur
sopravvive giurassicamente nonostante i passi avanti fatti.
Nei tuoi
racconti gli uomini si esprimono con un linguaggio teso ad affermare il loro
status di maschio, attraverso il monologo e il flusso di coscienza.
A che punto
siamo con questi uomini? Soprattutto, cosa dovrebbe fare un uomo quando prende
coscienza del suo comportamento sbagliato?
Deve chiedere aiuto. Un uomo consapevole del
suo comportamento sbagliato ha già compiuto un passo importante, va guidato nel
rivolgersi a specialisti, psicoterapeuti. Vedi, in genere si parla solo delle
vittime, dobbiamo occuparci anche dei carnefici, degli uomini maltrattanti,
parlare dei centri di recupero per queste persone, ce ne sono, ma non se ne
parla molto.
Michela, spesso
si è colpevolizzata più la vittima che il carnefice. Credi che ancora oggi sia
così o qualcosa è cambiato nella mentalità di chi è chiamato a giudicare questi
eventi, magistratura, forze dell'ordine.
Vero, la
colpevolizzazione della vittima o victim blaming è ancora molto diffuso
all’interno della coppia, nel modo di pensare delle persone e prima anche negli
interrogatori e nelle decisioni dei tribunali. La vittima poteva essere
considerata colpevole perché aveva provocato o per il modo di vestire. Cose
assurde. Per fortuna questo modo di pensare va scemando.
Un discorso che
so ti sta molto a cuore riguarda i sopravvissuti, ovvero i figli della donna
uccisa e del padre assassino.
I figli dei
femminicidi sono orfani speciali, sono doppiamente orfani, hanno perso
la madre uccisa dal padre, con il quale nella maggioranza dei casi non avranno
più rapporti. Accade anche che abbiano assistito all’evento, subendo un trauma
devastante che li accompagnerà per tutta la vita. Vanno protetti, seguiti,
assistiti anche economicamente perché spesso sono affidati ai nonni che vivono
di pensione, non sempre sufficiente per loro, figuriamoci per crescere bambini,
adolescenti. Il femminicidio si allarga a tutti i componenti della famiglia
della vittima, di questo poco si parla, io ho cercato di mettere in luce alcune
di queste conseguenze in diversi monologhi.
Oggi si parla
tantissimo dei femminicidi, non si corre il pericolo di spingere
all’emulazione?
Dipende dai soggetti. Il rischio di emulazione
si corre quando si riferiscono strategie omicidiarie, particolari, dettagli in
cui una persona che vive la stessa situazione può identificarsi. Oggi si tende
molto alla spettacolarizzazione, questo è certamente sbagliato, va evitata la
narrazione minuziosa, quello che si potrebbe definire quasi compiacimento morboso
per aumentare l’audience. Il diritto di cronaca, di divulgazione va preservato,
se siamo giunti alle leggi in difesa delle vittime è proprio grazie alla
divulgazione, ma le notizie vanno diffuse con responsabilità. Da grande insegnante
qual è stata e qual è, Michela è attentissima a non spettacolarizzare, non ci
sono esibizioni di crudeltà, Michela è delicatissima e tende soltanto a far
generare consapevolezza del problema in sé, a creare una coscienza fatta di
domande riguardo la violenza psicologica e quella fisica per poterle
riconoscere e apre alla possibilità, alla fiducia di poter anche cambiare il
proprio modo di intendere una relazione, di qualsiasi natura essa sia. Conto i
passi dovrebbe essere adottato da tutte le scuole d'Italia, perché è da lì che
si comincia a cambiare mentalità, di concerto con l'apporto familiare.
In un racconto
dal titolo il Branco parli in prima persona, come insegnante, ti riferisci a un
episodio realmente vissuto?
Sì, in questo monologo narro una vicenda
capitata a una mia allieva, per la quale io sono stata convocata a testimoniare
come prima persona a cui la ragazza aveva confidato la violenza subita.
L’episodio risale a più di trent’anni fa, convocai la famiglia per metterla a
corrente di quanto avevo saputo, poi accompagnai la ragazza in caserma a
denunciare l’accaduto. Ricordo che il PM mi fece i complimenti per i rapporti
che avevo stabilito con i miei ragazzi, è difficile che una ragazza vada a
raccontare alla propria insegnante un episodio del genere, vuol dire che lei
lavora molto bene con i suoi allievi mi disse.
Il sindaco Nello Donnarumma ha espresso
elogi per l’impegno sociale e culturale,
complimentandosi per aver scritto un libro così profondo con tanta delicatezza
da poter essere letto da tutti.
Nel corso della serata, ho anche avuto modo di riflettere
con il pubblico sull’importanza di affrontare il tema degli uomini
maltrattanti. Troppo spesso ci si concentra solo sulle vittime, ma per fermare
la violenza è necessario che anche gli aggressori vengano aiutati a prendere
coscienza del loro comportamento. Un uomo che riconosce di avere un problema
deve essere supportato nel suo percorso di cambiamento, attraverso la
psicoterapia e altre forme di recupero. È un aspetto che spesso viene
trascurato, ma che io credo sia essenziale per spezzare il ciclo della
violenza.
Abbiamo parlato anche della colpevolizzazione delle
vittime, un fenomeno che purtroppo è ancora troppo radicato nella nostra
società. Fino a non molto tempo fa, le donne che subivano violenze venivano
spesso accusate di averle provocate. Anche oggi, in alcuni casi, la colpa viene
attribuita alle vittime, magari per il loro modo di vestirsi o di comportarsi.
Fortunatamente, vedo che questa mentalità sta cambiando, ma è un processo lungo
e che richiede il contributo di tutti.
La serata si è conclusa con una riflessione che mi sta
molto a cuore: il mio libro dovrebbe essere adottato nelle scuole. Perché è lì
che deve cominciare il cambiamento.
*Conto i passi* non è solo un libro
che denuncia, ma uno strumento che può aiutare a sensibilizzare i più giovani,
a farli riflettere su ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato nelle
relazioni. È fondamentale che la scuola, insieme alla famiglia, diventi un
luogo di educazione al rispetto, all’uguaglianza e alla consapevolezza dei
diritti.
Questa esperienza mi ha confermato quanto sia importante
continuare a parlare di questi temi, a scrivere e a sensibilizzare. La violenza
di genere è una piaga che può essere sradicata solo con un cambiamento profondo
nella nostra società, e credo che ognuno di noi, nel proprio piccolo, abbia il
dovere di contribuire a questo cambiamento.
Michela Buonagura