Intervista a Michela Buonagura
a cura di Assunta Spedicato
Michela
Buonagura, il suo nome non ci è nuovo. Anche qui, come nella precedente
intervista, ritroviamo un’autrice già premiata in due delle passate
edizioni del Premio letterario, in quanto distintasi per contenuti e
stile narrativo.
In
“Voglio di più”, il racconto vincitore del Primo Premio nell’edizione
appena conclusa, lei torna a regalarci una storia declinata al passato
che mette al centro una figura femminile umile per condizione ma al
tempo stesso potente nello spirito. Sembra quasi che lei, attraverso la
scrittura, voglia ridare credito a quell’immagine di donna a lungo
sminuita dalle convenzioni. Se è così, da quale episodio o momento della
sua vita è scaturita dirompente questa sua premura? Si racconti.
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La figura femminile che in un modo o nell’altro lotta per riscattarsi è
ricorrente nei miei scritti, sia in prosa che in versi. Nasce da un
vissuto politico che affonda le radici nella mia gioventù, che mi ha
vista sempre impegnata nella lotta per la conquista e la difesa dei
diritti delle donne, contro le discriminazioni di genere che purtroppo
persistono, fissate in modi di dire e stereotipi diffusi da tanta
pubblicità, e finanche nelle opere artistiche. Sono storie che aspirano
alla quotidianità, al vero, che narro cercando di immedesimarmi nel
vissuto delle protagoniste, seguendone la parabola del cambiamento e
della crescita.
Di
recente ha dato alla luce una raccolta di racconti dal titolo “Conto i
passi” – Storie di disamore. Chi sono le protagoniste dei suoi racconti?
Ci parli della sua creatura.
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Il mio libro Conto i passi rappresenta un punto di partenza, ma anche
di sintesi di un'esperienza più che decennale, che mi ha vista
impegnata, attraverso eventi, convegni, flash mob contro il fenomeno
della violenza sulle donne. Infatti il titolo Conto i passi nasce da un
testo poetico presente nella raccolta Viaggiamo fuori rotta, pubblicato
qualche anno fa, e ha per sottotitolo Storie di disamore, col fine di
denunciare quello che molto spesso, più di quanto si creda, viene
chiamato amore, ma ne è in realtà la sua falsificazione. Ma nasce anche
da un episodio specifico che rappresenta l’eccezionalità nella
prossimità. Accadono fatti atroci che ascoltiamo in televisione,
leggiamo sui giornali, proviamo orrore, pena, poi ce ne dimentichiamo.
Pensiamo sempre che possa accadere altrove, che possa accadere agli
altri, come se gli altri fossero esseri senza fisicità, non li mettiamo a
fuoco, sono indistinti. Poi succede nel tuo paese o in un paese vicino.
Ne resti sconvolta. Senti la necessità di capire, di coglierne il
senso, se c’è un senso. La scrittura ti apre la porta, ti permette di
entrare in empatia con i sentimenti degli altri, di soffermarti sulle
parole, sui gesti, sui pensieri. Su queste pagine ho attraversato le
vite di donne martoriate, mogli, madri, figlie. Ho accompagnato lungo un
percorso doloroso bambine violate, ragazze tradite, ferite nella loro
ingenuità e fiducia verso gli uomini. Dalla lettura dei 29 monologhi
viene fuori una fragile psicologia femminile, fatta di insicurezze, di
disistima di sé, di ingenua spavalderia, di un amore incondizionato che
porta alcune donne all’annullamento e altre a dimostrare tutto il
coraggio di cui sono capaci nel riprendere in mano la loro vita.Attraverso
il racconto delle loro esperienze, si definisce una casistica della
violenza di genere, legata ad ambienti e contesti disparati, in cui il
maltrattamento e la coercizione appaiono come disvalori trasversali di
uomini che non hanno più nulla di umano. Quindi, parlo anche di uomini,
non solo di donne. Si parla sempre delle vittime, poco dei carnefici. E
invece bisogna mostrarne i volti, dire i loro nomi più delle vittime, il
fenomeno andava esplorato anche da questo lato. La violenza di genere è
strettamente connessa alla cultura patriarcale, viene esercitata da
uomini dalla mentalità maschilista, uomini normali, come ne conosciamo
tanti, che non vogliono essere detronizzati, che considerano la donna un
oggetto di loro proprietà, vogliono deciderne la vita e quando questo
non è possibile, usano la violenza in tutti i modi possibili e con tutti
i mezzi. Sono fidanzati, mariti, compagni, o semplicemente degli
sconosciuti. Sono maschi che compiono delitti efferati perché incapaci
di accettare un no, è finita, non ti amo più. Maschi convinti che la
donna vada gestita come una proprietà personale, possesso. Pervasi dalla
becera idea che la compagna sia un bell’oggetto da esibire, a volte per
status, riflesso di un modo di pensare che non ha nulla a che vedere
con l’essere uomo. Nel mio libro gli aguzzini si esprimono con un
linguaggio maschio che cerca consenso, giustifica l’azione commessa,
utilizza stereotipi che appartengono a una visione maschiocentrica dei
rapporti umani, ottusi e brutali nell'affermazione della loro virilità,
capaci di feroci menzogne pur di prevaricare e dominare. Urgeva
sottolineare, affinché fosse messa in luce la necessità di agire su
questo modo di pensare e di comportarsi. Non è stato facile penetrare
anche nella profondità di queste nature fredde e volgari, strapparne le
viscere, svelarne gli inganni, ma credo che l'opera di un'artista debba
avere uno sguardo sul mondo lucido e a volte spietato, uno sguardo che
non ha paura, che non si offusca, che non indugia nella commiserazione.
L'opera di un'artista non deve aspettarsi il consenso facile,
l'accettazione incondizionata, deve essere disturbante, urlare in faccia
il torto, il male che si annida nella quotidianità di una stanza
apparentemente calda e accogliente, dai colori vivaci e accesi, magari
di un rosso brillante e di materia grigia. I monologhi esprimono una
varietà di sentimenti con parole amare, sussurri, singhiozzi, urla
disperate che si levano dolenti come da un inferno dantesco. E per farlo
utilizzo tecniche narrative non facili, a partire dal monologo
interiore e il flusso di coscienza, imponendo alla materia un senso di
straniamento.
Al termine di una gratificante carriera come docente di Lettere, in che modo ha riorganizzato il suo tempo?
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Seneca, nel suo trattato "De Brevitate Vitae", sosteneva che un giovane
che avesse condotto la propria vita con virtù avrebbe vissuto appieno, a
differenza di un anziano abituato al lusso. Personalmente, non ho
dovuto riorganizzare la mia vita, poiché ho sempre vissuto immersa nella
letteratura, nella scrittura e nei rapporti umani. Nonostante la
conclusione della mia carriera di insegnante, continuo a coltivare
preziosi legami educativi. Partecipo a convegni, eventi, contribuisco
alla progettazione e realizzazione di progetti nell’associazione Gruppo
Archeologico Terra di Palma, nel quale sono anche responsabile della
biblioteca.
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La scuola mi manca per la gioia di contribuire alla formazione e per i
legami significativi con gli studenti, ma fortunatamente con tanti il
rapporto continua. Mi parlano dei loro sogni, delle difficoltà, dei
successi universitari. In questo dare e avere ricevo tanta ricchezza,
sono giovane insieme a loro, non resto indietro. Mi reputo fortunata.
Se seduti ai banchi di fronte a lei ci fossero i ragazzi degli anni ’80, quale argomento tratterebbe per loro?
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Se mi trovassi di fronte ai ragazzi degli anni '80, affronterei gli
stereotipi di genere radicati in quel periodo, incoraggiando una
mentalità più inclusiva e consapevole. La discussione mirerebbe a
sensibilizzare sulla necessità di promuovere l'uguaglianza di genere,
contribuendo così a plasmare una società più equa e rispettosa. Ma più
che ai giovani degli anni ’80, preferirei parlare ancora ai giovani del
nostro tempo, che vedo più difficile e complicato. I giovani degli anni
’80 conoscevano la lotta attiva, reale, da esprimere nelle piazze, il
dibattito e il confronto nei collettivi, oggi la protesta contro i mali
della società sembra esaurirsi dietro una tastiera, spesso vissuta in
solitudine, in un tempo svalutato, che passa inesorabile lasciando poche
tracce concrete e costruttive. Rispetto ai giovani del passato quelli
odierni hanno tante opportunità, possibilità di conoscenza, alcuni sono
preparatissimi, tanti vivono in solitudine, dipendenti dai nuovi media.
C’è un sogno relegato in fondo al cassetto che segretamente aspira a realizzare?
- Sì, vorrei completare il romanzo che ho avviato, ma i tanti impegni me ne allontanano. Spero di farcela.