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martedì 6 agosto 2019

TRANCHE DE VIE


Quando ha chiuso la porta alle spalle, ha detto addio ai diciott’anni trascorsi insieme alla sua famiglia. Inizia un’esperienza nuova, in una nuova città, con nuovi amici. Spera.

Il rumore monocorde e reiterato del treno risucchia i pensieri, li macina e gliene restituisce di nuovi, come il giorno che divora la notte. E l’alba le appare una rinascita.

Dal corridoio del treno le giungono voci di ragazzi in gita scolastica. Sorride, pensando a quelle vissute al liceo. All’università niente gite caciarone, solo studio, l’Erasmus magari le permetterà di visitare città nuove, di andare oltre Padova, verso cui è diretta.

Una donna sul sedile di fronte sussurra una cantilena antica al suo bambino e se lo tiene stretto al petto per difenderlo dalle storture del mondo. Alla sua destra, un uomo grassoccio, sui cinquant’anni, calvo sulla sommità del capo, è immerso nella lettura di un quotidiano.

Il braccio del passeggero che le siede accanto ogni tanto sussulta, poi s’alza a parare chissà quali colpi che ne turbano il sonno.

Fabia ne è investita e si volta a guardarlo. Gli scruta le palpebre violacee sovrastate da ciglia boscose e biancastre a carpirne i pensieri.

Cosa sta sognando il passeggero raggomitolato in quel giubbino logoro?

Si è svegliato, si guarda intorno spaesato, ancora stordito dal sonno, la fissa, poi guarda la mamma e il bambino, porge l’orecchio ai rumori del corridoio, si alza e s’abbassa a scrutare oltre il finestrino la pianura trascinata dal treno.

La voce polifonica della hostess annuncia l’arrivo in stazione. Bisognerà aspettare qualche minuto per la coincidenza.

L’uomo dal giubbotto logoro è ancora in piedi quando salgono due carabinieri. Lo osservano, poi guardano la foto che si passano consultandosi.

Uno di loro lo prende per un braccio. Lui è spaventato, cerca di divincolarsi, ma è debole, è vecchio. S’avvicina una giovane donna e gli dice Vieni, andiamo a casa, vieni. Lui la guarda come se non la vedesse, è disorientato. Chi sei? Sono Giulia, tua figlia. Non mi riconosci? I suoi occhi sono spenti, vuoti di ogni segno di riconoscimento. Non risponde, emette solo un lamento sommesso e infantile, abbassa la testa e la segue. La figlia, con le lacrime agli occhi, lo prende per il braccio e lo guida verso l’uscita, seguita dagli agenti.

Sonia osserva la scena. Prova pena per quella donna, prova pena per quel padre che un tempo è stato giovane come lei e come lei avrebbe voluto tagliare con la famiglia e fuggire via trovando una scusa qualsiasi come quella dell’università in una città lontana.

Sono scesi, il treno riparte. Sonia è frastornata. Pensa ai suoi che forse rivedrà a Natale.

 

Michela Buonagura

 

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