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mercoledì 5 dicembre 2018

IL TRIONFO DEL SESSO (FEMMINILE)



IL TRIONFO DEL SESSO (FEMMINILE)

Le triomphe du sexe è il titolo originale del pamphet pubblicato nel 1749 dall’abate Joseph-Antoine-Toussaint Dinouart che, pur provenendo da un lontano passato, è testimonianza di un pensiero sorprendentemente moderno sulla condizione femminile
Un ottimo spunto di riflessione per la Giornata Internazionale della donna.
L’autore al sostantivo sexe non aggiunge alcun aggettivo, perché dal punto di vista  lessicale, in quel tempo,  il sesso in assoluto era quello debole, il femminile.
L’abate Dinouart, pur consapevole di rischiare la scomunica, non esitò ad affermare le sue tesi a favore delle donne, dimostrando,  nei  nove capitoli del volumetto, che la conclamata inferiorità femminile era frutto di  un’interpretazione delle Sacre Scritture e delle Lettere di San Paolo, finalizzata ad umiliare la donne e  sottometterle.

Quanta saggezza! Il pamphet è rivolto agli uomini che travisano le leggi divine per rendere schiava la donna. Dio l’ha creata uguale all’uomo, con le medesime qualità intellettive. Tuttavia, gli uomini, specie i più dissoluti denigrano le donne, perché si sentono soggiogati dal loro fascino, una condizione che rifiutano e cercano di nascondere. Aggiunge anche che rispetto e pudore valgano non solo per la donna, ma soprattutto per l’uomo.
Dio  creò l’uomo e la donna con le stesse facoltà e virtù, non  fece nessuna distinzione fra le due anime, per cui l’uomo non ha nessun diritto di prevaricare su un altro Essere spirituale. La differenza è solo sessuale.
Questa eguaglianza perfetta li unisce in un amore reciproco, perché godano insieme le dolcezze di una piacevole collaborazione, sostiene l’abate, confortato da Crisostomo.
Neanche il peccato originale ha annullato la parità.  
 Dio  impose il divieto del frutto proibito ad Adamo, non ad Eva, la quale è ignara della proibizione divina, per cui, quando coglie il frutto, irretita dal serpente, è incolpevole
Tuttavia Adamo fa ricadere ogni colpa su  Eva, al punto da suscitare contro di lei un odio che si protrae nei secoli e che ancora spinge gli uomini ad accusare le donne e a sottometterle.
Rifacendosi al concetto della dipendenza civile espressa in San Paolo, Dinouart sostiene che questa sottomissione è limitata ai doveri e agli impegni del matrimonio, che ne fa una medesima persona in un medesimo corpo. Sono due uguali. La donna non è la serva, ma la compagna.  L’uomo è sottomesso alla donna, come lei è sottomessa all’uomo.  
Procedendo su questa linea, l’autore difende ad oltranza il sesso femminile e condanna non solo i teologi, ma anche  l’ingiustizia delle leggi  umane, che concedono all’uomo ogni diritto sulla donna e sul corpo delle donne. Un vero abuso, sostiene il Dinouart.
Quanto tempo è passato dal 1794, quando all’età di trentacinque anni pubblicò la sua opera? Troppi! A dimostrazione di quanta ignoranza è continuata per secoli nei confronti della donna, manipolata ed usata da una società maschilista, che  l’ha confinata in cerchio/recinto,  per liberarla quando serviva.

martedì 27 novembre 2018

DICI-AMO NO ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE 2018


Violenza di genere: Palma Campania dice “no”
27 Nov 2018 



Palma Campania, 26 Novembre – Domenica scorsa, giornata di riflessione sulla violenza contro le donne, anche a Palma Campania si sono svolti alcuni eventi per testimoniare la sensibilità della popolazione verso questa tematica.
I primi a focalizzare l’attenzione sull’argomento sono stati gli alunni dell’I.S.I.S. “Antonio Rosmini”, che fin da sabato hanno potuto partecipare a due appuntamenti, uno a scuola, realizzato nell’ambito delle attività curriculari, un altro presso il teatro comunale, a cura del Laboratorio teatrale Gulliver e delle associazioni VIVA e F.I.D.A.P.A. – B.P.W. Italy. Il secondo evento è stato proposto anche domenica, a un pubblico più ampio, che ha risposto numeroso all’invito. Il problema della violenza domestica è molto sentito in paese, soprattutto da quando, negli ultimi anni, si sono verificati fatti di cronaca che hanno profondamente scosso l’opinione pubblica e, naturalmente, segnato la vita di alcune famiglie.
Nell’intento di promuovere iniziative di contrasto al fenomeno della violenza di genere, che rende infelice la vita di molte donne che tuttavia restano in silenzio, un’altra associazione locale, Naturae, ha recentemente aperto uno sportello rosa, nella speranza che la comunicazione e l’ascolto possano essere un’opportunità, o una soluzione.
Il progetto dell’I.S.I.S. Rosmini finalizzato all’evento della data 25 novembre ha per titolo “Dici-Amo no alla violenza di genere” ed è stato fortemente voluto dalla dirigente Maria Grazia Manzo e dalle prof.sse Michela Buonagura, Anna D’Ursi e Filomena Amato. Gli studenti sono stati invitati alla riflessione sulla violenza silente, quella quotidiana, attuata attraverso gli stereotipi di genere e i meccanismi di prevaricazione che derivano dal sentimento della gelosia. Sui banchi di scuola è stato trattato il tema dell’amore nella letteratura, ma anche dell’amore come leitmotive che permea anche altre discipline; in particolare ci si è soffermati sul tema della follia in amore, che può sfociare in tragedia. Gli allievi del liceo scientifico hanno realizzato un cortometraggio realizzato a scuola, incentrato su messaggi positivi e non solo di denuncia, lavoro che è stato proiettato al termine del convegno-dibattito che si è tenuto il 24 novembre, quando, contestualmente alla proiezione, sono stati esposti i cartelloni realizzati dagli allievi delle altre classi dell’istituto. Durante l’evento conclusivo – che vuole essere il punto di partenza per l’adozione di uno stile di vita che eviti la violenza – i ragazzi hanno recitato alcuni monologhi della prof.ssa Michela Buonagura e la sua poesia “Conto i passi”, proposta ogni anno in occasione del 25 novembre, scritta per ricordare le vittime della violenza di genere. I giovani hanno dimostrato la loro sensibilità anche disegnandosi con il rossetto uno sbaffo rosso sulla guancia.
In una cornice diversa, la sala teatrale comunale, il tema della violenza di genere è stato proposto anche attraverso un reading, su iniziativa del Laboratorio teatrale Gulliver e delle associazioni VIVA e F.I.D.A.P.A. Le associazioni hanno puntato sull’efficacia della parola, capace di raccontare, di commuovere, di scuotere, di fare breccia nel muro dell’indifferenza e della distrazione. Suggestivi veli di tulle rosso hanno fatto da quinte scenografiche sul palcoscenico, evocando il colore del sangue versato dalle vittime innocenti della violenza di genere. Le donne vittime di femminicidio sono state ricordate attraverso una serie di testi letti da “interpreti – non attrici”, donne comuni che, come ha voluto la regista Gabriela Maiello, hanno rappresentato ogni donna, ogni possibile vittima di un amore malato, di coltelli affilati, di cocci taglienti, di mani assassine.
 “Ogni anno dedichiamo uno spettacolo a questo terribile tema”, spiega la regista Gabriela Maiello, “il titolo Passi affrettati ha sostituito quello degli anni precedenti, Ni una màs. Purtroppo, la cronaca ce lo dimostra, non basta augurarsi che non ci siano più femminicidi… Occorre parlarne, non essere indifferenti se il problema ce l’ha la famiglia della porta accanto, insistere sull’assurdità del fenomeno, invitare a riflettere, parlare di amore, di quello vero. Il senso degli eventi e delle iniziative che si svolgono in occasione del 25 novembre è questo: ribadire che l’amore non è possesso, non è gelosia, non è limitazione dell’altro, non è sopraffazione, ma condivisione, reciprocità, comprensione. Un evento ispirato alla cronaca, realizzato in una data istituzionale, può contribuire a veicolare un messaggio positivo, per un cambiamento di rotta. Le famiglie, soprattutto quelle giovani, hanno una grande responsabilità, educare i figli all’amore, alla parità di genere”.
Dello stesso parere il presidente dell’associazione VIVA, l’avv. Filippo Carrella, e la portavoce della F.I.D.A.P.A., prof.ssa Rosanna Ferrara, che hanno ricordato come la giurisprudenza talvolta non rende giustizia alle vittime. Durante il dibattito finale, il pubblico ha sottolineato che le vittime della violenza di genere non sono soltanto le donne, ma anche i loro figli e addirittura gli amici e i familiari presenti sulla scena del delitto, quando la furia omicida non si ferma davanti a nulla.
Presente in sala, l’assessore alla cultura del comune di Palma Campania, prof.ssa Elvira Franzese, commossa e certa dell’utilità della sensibilizzazione sulle tematiche più scottanti e impegnative che, nonostante se ne parli, fanno registrare numeri altissimi di vittime. 

Angela Sorrentino

sabato 31 marzo 2018

DISTESA SULLA LUCE DELL'ALBA -VII-


VII
Ecco giunge Helios vigoroso
sul carro palpitante
di froge fumanti.
Ancora umido di sale
s’innalza
fuga le tenebre
e bacia la Terra
novella Lazzara.
Sospesa da incantamento
respiro la luce.
E torno alle cose usate.

dalla raccolta-Distesa sulla luce dell'Alba-
diritti riservati

giovedì 22 marzo 2018

VIAGGIAMO FUORI ROTTA- RECENSIONE DI ENZO REGA



I versi di questo libro di Michela Buonagura non sono allineati a bandiera, su un lato della pagina, ma centrati: le parole appaiono dunque come onde che si srotolano, come un moto incessante, qual è la poesia che ditta dentro di noi. E la raccolta apre metapoeticamente con un testo che si intitola appunto Poesia e che parla della poesia, di ciò che essa è per l’autrice: “Tu sei furor di vento / che stringe e cinge il petto / di rosso melograno” (p. 3). E in chiusura frl testo, passando attraverso il riferimento alle Erinni, le Furie per i latini, si afferma: “E ribolle il mio sangue / che questa notte artica / non riuscirà a gelare” (ivi). La poesia dunque è ciò che dà vita e calore alla vita. Viene in mente La poesia salva la vita di Donatella Bisutti. Per Michela, dunque la poesia salva la vita perché la vivifica. Essa, abbiamo visto, è “furor di vento”. A p. 33 ricorre un altro richiamo al vento, quasi fosse una musa: “Cantami o vento”. Pensiamo che in greco anemos, da cui viene “anima”, significa “vento”, dunque il soffio vitale,che è anche il significato di spiritus in latino: soffio, brezza, respiro, sospiro. E Sospiro è il titolo della poesia che chiude il libro. Dunque, tornando al primo verso di questo libro, la poesia è anima, è vita.

In qualche modo questa prima poesia riguarda il privato, perché l’autrice parla dell’effetto che la poesia ha su di sé, ma, come abbiamo visto, c’è però al contempo un respiro universale. Proiettato sul civile è invece il testo successivo, la poesia eponima, che dà il titolo al volume, Viaggiamo fuori rotta (p. 4), nella quale si accusa il nostro mondo di aver perso la bussola; vi imperano Satanàs, Follia e Morte: una “Terra sfatta / dai congegni inceppati”. E il testo successivo, Abbiamo sognato (pp. 5-7), con il recupero memoriale della giovinezza sembra dialetticamente conciliare privato e politico. Come si diceva anni fa, “il privato è politico e il politico è privato”. L’autrice ricorda, con un linguaggio che si fa più quotidiano, il suo impegno politico negli anni caldi della contestazione: “E i pugni alzati e le rosse bandiere e gli slogan / erano le armi di lotta” (politico); “Se ricordo me stessa in quegli anni / un gran nodo mi stringe la voce” (privato). Era bella quell’idea: “Ci credevo / che un giorno lontano / l’avremmo cambiato ’sto mondo”. E viene in mente Noi credevamo, il titolo del film di Mario Martone, e del libro di Anna Banti che l’ha ispirato. Senza dubbio, Risorgimento, Resistenza e ’68 possono essere accomunati nella speranza di un mondo nuovo, poi non realizzato. Eppure l’autrice, anche se con modalità cambiate, non rinuncia a quello spirito: “L’ideale è ormai mito / è vapore di lontane memorie / ma io più ostinata la nutro / la mia ultima Dea”. Ciò a differenza dei tanti che invece il tempo ha mutato. Due pagine dopo, in E ti rivedo amica (pp. 9-10), Michela ricorda un’antica compagna, proprio la più pasionaria, oggi con “occhi spenti”, tutta ripiegata su “bucato / figli / lavoro” (e il verso si spezza olofrasticamente scandendo una parola alla volta).: ripiegata forse non per scelta ma per le necessità di un mondo maschile e maschilista che scarica sulle donne una serie di incombenze.

Sembra a ogni modo di ritrovare l’atmosfera di Mito di Cesare Pavese, quando l’adulto non ricorderà più le speranze del se stesso giovane: “Ora pesa / la stanchezza su tutte le membra dell’uomo, / senza pena”. Ma questa metamorfosi ricorda anche l’agnizione finale de Il tempo ritrovato di Marcel Proust, quando alla fine il Narratore a una festa incontra volti che gli sono noti, ma qualcosa ha cambiato i lineamenti, rendendoli quasi irriconoscibili: la vecchiaia.

A fronte della metamorfosi dell’amica di un tempo, l’autrice – torniamo al suo libro –ricerca ancora la sensibilità di un tempo. La poesia che si incastona tra le due ora analizzate s’intitola Dammi un cuore che ascolti (p. 8): cuore e politica, passione e ideologia per dirla con Pasolini: “Dammi un cuore che ascolti / le grida dei martiri immolati / gli schiocchi delle flagellazioni / i colpi dei chiodi delle crocifissioni / il dolore delle anime sante / disperso nella calca / delle notizie sfuggenti”. Tanto per fare ancora un esempio di questa vena civile, a p. 35 possiamo leggere: “Si stagliano netti i muri / se hai occhi per vedere. / Puzzano di rabbia i muri. / Della ricchezza e della miseria / dei bianchi e dei neri / degli uomini e delle donne / dei fortunati e dei diseredati. / Mugolano dolore i muri”. Sono questi “i lager delle disuguaglianze”.

I diseredati. Ecco allora in Grembo s’è fatta l’acqua (p. 42) il naufragio dei migranti: “Poi irrompe. // Inattesa / possente / assassina // L’onda” (anche qui con versi incalzanti fatti di una sola parola).

Le donne. In Zapatos rojos (“scarpe rosse”) leggiamo: “Conto i passi /. Passi di viva brace / resti di donne / rossi di sangue” (p. 48). Una poesia al femminile, questa, che dal politico qui espresso si raccoglie delicatamente sul privato in Medaglie (p. 39) nella sorpresa al primo apparire dei seni, prima portati con imbarazzo e poi con baldanza.

Tanti fili vengono qui ricuciti in circa sessanta pagine, e questo è il compito della poesia, che nello stupore di fronte all’immensità del cosmo cerca pure un senso, raccogliendo quanto la vita ci ha dato, come nella tela di Penelope, ma senza disfarla: “Breve è la vita. / E sovente  / solo sterminio / di istanti preziosi (Istanti preziosi, p. 22). Come Penelope altre figure del mito si affacciano in questi versi – Le Erinni, Aracne, Pandora, le Moire ecc. – modelli sempiterni buoni anche per leggere la modernità, il cui richiamo si affianca in questi versi anche a interventi sperimentali sul linguaggio, con neologismi – “assolo” nel senso di ritirarsi in solitudine ma anche di “illuminarsi”, “moto messaggioso”, o scrivendo parole attaccate come anche qui a ricucire fili in un solo soffio di voce.

E Sospiro (p. 55) – come dicevamo – s’intitola l’ultima poesia. E dopo l’apertura alla poesia c’è come il senso di uno scacco, di un’impossibilità a dire davvero: “Ho l’infinito nel petto / ma mi si serra in gola”. È come se il desiderio rimanesse – per dirla con Freud, inibito alla meta. Ma è in fondo il destino della poesia, quello di muoversi sul crinale tra dicibile e indicibile.

 

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