Da due dizioni, voci greche, mamma
e ana (simile o uguale), la mammana è
quasi madre. Quasi. E quale appellativo più calzante per Lucina, la
protagonista del romanzo della Ossorio? Madre, nel senso biologico, non avrebbe
mai potuto essere, perché con lei il Padreterno
aveva fatto uno sbaglio, infilando l’anima
di una femmina in un corpo da maschio. Ma tanto maschio il suo corpo non lo
era, nella sua prepotente bellezza, da lasciare senza fiato chiunque e,
paradossalmente, per la femminilità che sprigionava quel corpo si poteva
considerare un capolavoro del creato,
non fosse per quella fesseria
ingiustificabile, quel lombrico
molesto posto lì per errore. Era a causa sua che madre non avrebbe mai
potuta essere. Ma il Padreterno pone rimedio all’errore con un dono
inaspettato, Stella, la bambina che aiuta a nascere, rifiutata dai genitori
perché capa janca, albina, sarà la
sua bambina, e la mamma ana, diventerà mamma.
A Lucina neanche l’amore di un uomo viene negato. Nella sua vita c’è
una presenza sicura, su cui lei può fare affidamento nei momenti di sconforto,
Bartolomeo che, pur consapevole della sua diversità, ne è perdutamente
innamorato, sempre pronto a soccorrerla, a tollerare le sue schermaglie da
vergine vestale.
Una storia d’amore questo romanzo, amore coniugale e materno, che si
snoda da fili magici, tra superstizioni
ora accolte ora negate, in un lessico studiato, fluido, con accenni alla lingua
napoletana che non compromettono la comprensione per chi napoletano non è.
E se la mammana è colei che
aiuta a venire alla luce, luce sia. Il campo semantico dominante brilla di
luce, nei nomi, Lucina, Stella, Rosalba, Laura e il marito astrologo,
nell’accenno alla festa della candelora, nella stella cometa che segna la
nascita di Stella e della mammana come madre. Uno sfavillio da paradiso
dantesco, come se i personaggi della storia brillassero di una luce speciale
nel buio del mondo, fatto di latrati
di Cerberi. Diffusi, infatti, i lievi
richiami alla Commedia, come il ricorso al numero tre, le tre cane che aprono e chiudono la storia,
non fiere ma compagne di vita. O, forse, è solo l’amore dell’autrice per la
natura e gli animali, per la sua cana
Anita.
Il romanzo si colloca nel Realismo Magico, una poetica che si situa a
metà strada tra l’elemento magico, surrealista e la rappresentazione realista;
sgorga da matrice sudamericana nella quale Antonella Ossorio si riconosce da
sempre, come lettrice e come scrittrice, ma anche da Basile. Non dimentichiamo
che l’autrice è stata soprattutto scrittrice per l’infanzia ed è napoletana. E Napoli
non fa solo da sfondo al romanzo, è viva e palpitante coi suoi vicoli ciarlieri;
trabocca di degrado e di meraviglie, di uno splendore
oltraggioso che non porge, ma te lo
butta in faccia.
Tema dominante sembrerebbe la diversità, di Lucina e di Stella, ma la
diversità è negli occhi di chi guarda. Chi è il diverso? Chi non corrisponde a
canoni prestabiliti? E da chi? Siamo individui, ognuno con la sua singolarità,
esseri umani, esseri animali, esseri della natura, esseri. Il libro offre vari
spunti di dialogo, di confronto, molto attuali, fa riflettere su come la
presunta diversità viene coraggiosamente vissuta, in un periodo storico lontano
da noi, ma forse è l’aria delle rivoluzioni del ’48 a compiere il miracolo per
cui Biagio decide di essere Lucina, con coraggio rivoluzionario, lo stesso
coraggio con cui decide di essere mamma di una bimba che potrebbe essere
rifiutata non solo dai genitori biologici ma dalla società.
La vita richiede coraggio, questo il messaggio profondo della storia,
avere il coraggio di essere.
Al di là del determinismo della nascita, al di là dei pregiudizi.
Michela Buonagura
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