Descrizione blog


La scrittura è uno strumento di conoscenza.
Fa luce dentro di te e rende chiaro qualcosa che prima era oscuro.

venerdì 30 ottobre 2009

POZZOROMOLO, IL LIBRO DI LUIGI ROMOLO CARRINO




Luigi Romolo Carrino è alla sua seconda opera di scrittore e dopo Acqua storta, sempre per la casa editrice Meridiano Zero, ha pubblicato a fine estate del 2009 Pozzoromolo, titolo che ci fa venire in mente subito una nota località del nostro paese e di cui l’autore ci fornisce una corretta spiegazione etimologica verso la fine del romanzo. Nella stesura della recensione (parola grossa) di un testo inedito di un nostro concittadino, sono stata presa da qualche preoccupazione, temendo di non comprenderlo appieno, di non riuscire a coglierne il senso e meno che mai di trasmetterlo. Ma poi ho pensato che, da dilettante della penna, potevo permettermi di esprimere liberamente la mia opinione, con la certezza di promuovere, comunque, la lettura del romanzo.
La protagonista del romanzo è Gioia che, a causa di un terribile reato, è detenuta in un manicomio criminale da quando aveva 15 anni (al momento del racconto ne ha 40). Infatti Carrino sceglie di farci raccontare proprio da Gioia, la protagonista, una mente malata ed instabile, le vicende della sua terribile esistenza. Ella ci conduce lungo un percorso lastricato di antidepressivi, ansiolitici, sonniferi potenti, perché la vita di Gioia è una vita insonne, durante la quale si rincorrono fantasmi vivi (il padre, la madre, i nonni, il molestatore zio Giggino) e morti (il fratello Luca, l’amante assassinato dalla madre e il pappone Mario), ombre che dilaniano la sua mente e la sua carne, che si tramutano, nella sua ossessione, in vespe che la pizzicano, che le mangiano lo stomaco. Durante il suo racconto il passato e il presente si intrecciano con incessante sofferenza, indifferenza, abbandono. Non c’è nessuno spartiacque, nessun ravvedimento, nessun perdono, nessuna espiazione tra il primo e il secondo. Il dottore Mancuso, stanco e demotivato, psichiatra ad un passo dalla pensione, che l’ascolta una volta al mese, sembra l’alter ego del padre, dimentico dei doveri verso la figlia/o e proiettato verso un’altra vita di errori e rimorsi. L’infermiera Anna, pur con il suo affetto, non riuscirà mai del tutto a compensare l’abbandono della madre, feroce dispensatrice di punizioni e novella madame Bovary. Ma ad un tratto, mentre assistiamo impotenti, indignati, compassionevoli al racconto dell’immane tragedia di Gioia, con il suo carico di solitudine, di molestie, tra le sue grida furenti, le registrazioni, i diari sul pc, si leva un altro grido: quello di un uomo (il soggetto cambia di genere repentinamente e la prima volta che lo incontri credi sia un errore di stampa), e le due vite, i ricordi, i desideri, il bisogno naturale di essere accettati, amati da chi ti ha generato, si incrociano in un farsi e disfarsi continuo e per un lettore poco attento, a volte in maniera incomprensibile. Bisognava, tuttavia, se pensiamo che il romanzo contenga dati autobiografici, che l’autore lo facesse, per chiudere i conti e per mutarsi in un altro se stesso.

Anna D’Ursi

da Passaparola, ottobre 2009

UNA STORIA ESTREMA DALLA PARTE DEGLI ESCLUSI:

POZZOROMOLO di L. R. CARRINO

Luigi Romolo Carrino ci riprova con il secondo romanzo Pozzoromolo, nell’accezione moderna di romanzo psicologico. L’autore scandaglia nei meandri della coscienza dei due protagonisti, sovrapponendo i loro vissuti e facendoli combaciare. La storia spaesa il lettore, lo costringe a sviluppare un intuito scientifico per riconoscere i personaggi, che non hanno vita propria, ma riemergono nella memoria indotta dagli stessi protagonisti. Sono fantasmi del loro vissuto, che in momenti di allucinazione o perché richiamati da una foto scolorita si presentano a loro e riportano alla memoria il passato che non passa. È una discesa negli abissi della sofferenza umana. Il romanzo si snoda in forma epistolare, lettere che non saranno mai recapitate e ci apre le porte di un manicomio criminale, che non si è mai aperto, nonostante la legge Basaglia. Gioia, il protagonista, sconta la condanna di omicidio, sotto gli effetti di psicofarmaci, che la tengono sedata e buona. Contro la privazione degli affetti, della libertà, ha il solo antidoto della scrittura della vita perduta. Così su fogli sparsi riporta come in un reportage giornalistico la vita chiusa nello squallore carcerario. Scrive di giorno, e di notte con la luce del corridoio che filtra sotto la porta. E in quella stanza rivive la sua storia personale, perché attraverso quelle mura invalicabili entrano tutti: il fratello morto, la madre con le unghie laccate di viola, il padre con la saldatrice che scintilla, la nonna, la zia, lo zio, legati al vissuto dello scrittore e l’amante-sfruttatore di Gioia. Tutti insieme si ritrovano lì la sera al buio fantasmagorico della stanza del manicomio criminale a dichiararsi il loro odio-amore. Il romanzo, contro ogni logica, è un inno all’amore, all’amore della famiglia, all’amore filiale. La tecnica epistolare ha permesso allo scrittore di confondere la sua vita con quella di Gioia e il punto di incontro è la scrittura. È come se lo scrittore intrecciasse sul telaio i fili della vita dei due protagonisti e dall’orditura viene fuori la trama. Così Gioia scrive la sua vita sui fogli, ma anche quella dello scrittore, che rielabora e confonde la sua infanzia e la sua adolescenza dilaniata da eventi più forti e incalzanti della sua fragile età. Un padre possessivo e violento, una madre che vive come le eroine dei fotoromanzi di Grand Hotel e ne recita la parte come su un palcoscenico. E lui diviso e conteso dalla separazione che lo travolge, l’infanzia ad Ospedaletto, la vita contadina, la raccolta delle nocciole e del tabacco da infilare e mettere ad asciugare e lo studio scolastico: il riscatto di un bambino, poi adolescente, quindi adulto. Nella storia del protagonista deflagra il dramma edipico del bambino, schiacciato tra i conflitti del padre e della madre, con la quale, novella Giocasta, si confonde come in un gioco di specchi lo stesso protagonista nel finale del romanzo. Carrino dà una grande prova di scrittore e questo romanzo è destinato a consacrarlo. Lo stile conosce ben quattro registri linguistici: il linguaggio frammentato e povero di Gioia sotto gli effetti dei farmaci, come un flusso della memoria di joyesana memoria, dello scrittore bambino, dello scrittore adulto.


Mmnappi